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Mirko Traversari, Castelnuovo: una proposta sulla sua origine medievale

 

  <<Castrum Novum in quo sunt focularia XXV [1] >> con questa sintetica registrazione, probabilmente il cardinale Anglic Grimoard de Grisac, nella sua Descriptio Romandiole del 1371, consegnava ai posteri il presente trecentesco di questo piccolo borgo rurale; probabilità e non certezza visto che la registrazione si trova al termine di una lista di castra afferenti alle valli del Conca, Ventena e Tavollo a cui seguono citazioni della valle del Marecchia (e Novum è un toponimo ricorrente). Il Castelnuovo di cui qui si parla domina la valle del Ventena che, assieme alla valle del Conca, hanno storicamente rivestito un ruolo importante e delicato: qui decorre il naturale confine tra pianura padana e collina marchigiana, cerniera tra Italia settentrionale e centrale. E' stato un limes tra la regio VIII Aemilia e la regio VI Umbria di augustea memoria, eredità perpetrata nella travagliata divisione tra Romandiola e Marcha Anconetana, ancora, divide il territorio riminese e pesarese [2] . Ecco che da qui appare evidente la vocazione strategica dell'intera area, non è un caso che questo territorio rivestì il ruolo di confine tra Bizantini e Goti prima, Longobardi poi; qualche secolo dopo tra i Montefeltro e i Malatesti [3] . L'importanza strategico-militare è sottolineata anche dalla persistenza di importanti vie di comunicazione come la via Flaminia che metteva in comunicazione la Pianura Padana con Roma, oppure la via Regalis , alternativa alla Flaminia, che decorreva verso Urbino per poi proseguire anch'essa verso Roma [4] . Questo può probabilmente spiegare la densità del fenomeno dell'incastellamento che qui si riscontra: in un privilegio di Gregorio V del 998 sono menzionati sei castelli delle zone limitrofe al promontorio di Focara [5] (su un dato cronologico simile e su un territorio più esteso, il territorio forlivesi può vantare solo quattro attestazioni anteriori al X sec. [6] ), non è quindi un caso se si parla ormai di provincia castellorum che sembra incarnarsi, tramandandone la tradizione, nel territorio delle Appenninae Alpes citate da Paolo Diacono, le quali con ogni probabilità trovano il confine meridionale proprio nell'area qui analizzata [7] , non lontano da uno dei principali avamposti di questo ducato che si riconosce nel castrum Monte Feretri (San Leo) [8] . Questo era l'ambito politico-amministrativo, altro tassello egualmente fondamentale per determinare chiaramente lo status degli insediamenti, è chiarire come la dinamica di antropizzazione territoriale si sia sviluppata.

L'utilizzo del territorio da parte dell'uomo ha visto diverse fasi di sviluppo, fasi strettamente legate ad un ambiente naturale di difficile variazione morfologica in tempi brevi, ed alla tecnologia che gli abitanti di quei luoghi potevano usare per intervenire sul paesaggio; non si può quindi parlare di veri e propri insediamenti per quanto riguarda le prime stagioni di antropizzazione del territorio, ma di un adattamento alla natura dei luoghi.

Ecco quindi che i percorsi di crinale sono le vie che l'uomo del Paleolitico inferiore usa, sono di facile individuazione ed offrono una visuale molto ampia ed estesa, non presentano grossi ostacoli quali l'attraversamento di un fiume; lo sfruttamento del territorio ha una direzione crinale-fondovalle che facilita l'orientamento, garantendo una certa sicurezza agli abitanti, che si sostenevano con un'economia prevalentemente di raccolta [9] . Si è poi proseguito nel processo d'utilizzo del territorio scendendo progressivamente verso fondovalle, ribaltando l'asse di sfruttamento non più verso valle, ma verso monte, intervenendo in maniera più consistente sull'ambiente, modificandolo per generare luoghi ideali per gli insediamenti stabili; il maggiore popolamento ha poi favorito la nascita di direttrici di traffico stabili, spesso su percorsi preesistenti (un esempio lo troviamo nella "via dell'ambra" lungo la valle del Marecchia, sulla quale si è sviluppata la direttrice romana di collegamento al Tirreno), incrementando i commerci e gli scambi.

L'utilizzo dei nuclei insediativi presenti sulle pendici montane rimane inalterato in questa fase, anzi, costituiscono un organismo economicamente sviluppato in relazione ai centri di fondovalle, che tuttavia detenevano una polarità civile ed economica più spiccata. Questa situazione permane circa fino al periodo tardoantico quando, a causa di una commistione di eventi importanti come la Guerra Greco-Gotica (535-553), l'invasione longobarda (568-569) [10] , la diffusione di pestilenze e carestie, si ha un calo demografico che colpisce in modo particolare la piccola proprietà terriera, comportando l'abbandono dei centri di montagna minori a favore dei grandi centri di potere, in primis Ravenna [11] per la quale la valle del Conca e Ventena erano tributarie [12] ; non è più sistematico e costante l'utilizzo dei percorsi vallivi che si frazionano fino a quasi sparire [13] , essendo percorsi da milizie belligeranti quindi pericolose. In questo quadro storico si riaffermano i vecchi percorsi di crinale, si ritorna allo sfruttamento di posizioni elevate maggiormente difendibili, abbandonando progressivamente i nuclei di fondovalle.

  Il fiorire di nuove entità insediative fortificate è figlio di questo momento storico [14] , non c'è affioramento roccioso che non ha alla sua sommità torri, castelli, borghi fortificati, fortezze, che stanno a testimoniare le necessità di vita delle genti antiche [15] .

Castelnuovo, come tantissimi altri insediamenti, è quindi il frutto di queste contingenze. Volendo a questo punto tracciare, seppur per sommi capi, quello che è stata la storia medievale di questo borgo fortificato, ci scontriamo con una serie di notizie nebulose ed equivoche, questo è anche determinato dello stesso toponimo, apparentemente di semplice lettura, in realtà dalle problematiche ben più consistenti. E' bene dire che l'accezione di novum è ricorrente in tutta la regione e in Italia con una numerosa casistica, attestazione data solitamente alla fortificazione di un burgus preesistente o riedificazione di strutture desuete, più raramente sta ad indicare la fondazione ex novo di un centro abitato, contrariamente a quello che potrebbe suggerire una lettura semplicistica del toponimo; da qui il fiorire di molti castrum novum.

  Una prima probabile attestazione la possiamo trovare all'interno della Bolla di papa Onorio II a Pietro, presule diocesano, dove in una lista di sei castelli, le cui proprietà ecclesiastiche erano ivi confermate, compare Castellum Novum [16] , siamo nel 1125 d.C.; è del 1202 la notizia di un Bernanrdo " de Castro Novo "che ha in affitto 15 tremissi di terra poco lontano dal paese di Castelnuovo, da parte dei Canonici di Rimini [17] , nel 1225 era soggetto a Guido Ridolfi di Auditore, mentre nel 1233 si piegò al Comune di Rimini, in annosa contesa con la chiesa riminese come è rivelato da un documento del 1279 che riporta << .item quod dicti Potestas Capitaneus Consilium et Comune Civit. Arim. Pro ipsa Civitate et Universitate et ipsius Civitatis nomine, tenente et possident Castrum Novum >> [18] . E' da approfondire la notizia che compare nelle Rationes Decimarum del 1290, in cui si riporta << Item recepit quinquaginta duos sol et tres den. rav. A presbitero Francischo ecclesie S. Blasii plebatus Inferni pro decima se contingente >>, effettivamente la chiesa di Castelnuovo, titolata a San Biagio è ancora oggi nel plebato di Onferno, questa potrebbe rappresentare una delle prime attestazioni documentarie della chiesa ancora esistente. E' da attribuire invece al Castelnuovo afferente alla valle del Marecchia la citazione << .de Castronuovo >> che compare nelle decime del 1291, rubricato al n° 957. [19] Da Queste scarne notizie è comunque possibile fissare alcune ipotesi, sicuramente, salvo la smentita che un'indagine sistematica archeologica può dare, Castelnuovo appartiene a quella categoria di insediamento di seconda generazione, cioè quei castelli di X-XIII secolo che nella gran parte della penisola italiana, costituiscono la forma più comune di insediamento rurale, differentemente da quelli di prima generazione, strutturatisi durante la tarda antichità per necessità politico militare, spesso con prerogative cittadine o quasi cittadine, nello specifico Castelnuovo sembra poter arretrare almeno al XI sec.; lo stesso toponimo, più sopra analizzato può sottolineare questa realtà, l'incastellamento dei secoli centrali del medioevo si appalesa sempre con più forza, come il frutto di un processo di ristrutturazione ad iniziativa signorile [20] di forme insediative precedentemente esistite e funzionalmente strutturate alle tipologie di sfruttamento delle risorse rurali delle comunità [21] . Venendo poi ad analizzare l'alternanza del termine castellum/castrum , della quale Castelnuovo è testimone, è bene tenere presente che questi termini erano già in uso durante il periodo romano: castrum era l'accampamento stabile dell'esercito ed il castellum un accampamento per formazioni minori e distaccamenti. A partire dalla tarda antichità questi termini militari, affiancati ad altri, sono utilizzati per descrivere anche insediamenti civili fortificati; a questo punto il castrum sembrerebbe prendere il posto a quello che anticamente era definito oppidum (termine che comunque compare nei documenti medievali), cioè sito fortificato d'altura, castellum che ne è il diminutivo, indicherebbe un centro di minore ampiezza, della medesima dimensione abbiamo poi il vicus ed il pagus , egualmente distanti dal castrum [22] . Illuminante in questo senso è Isidoro di Siviglia, quando ci dice << castrum antiqui dicebant oppidum in loco altissimo situm, . diminutivum castellum est.oppidum autem magnitudine et moenibus discrepare a vico et castello et pago. >> [23] . Bisogna comunque tenere conto che già le fonti tardoantiche spesso non riescono più ad evidenziare tramite l'uso corretto del termine, le reali differenze delle tipologie insediative, usando spesso in maniera acritica i termini castrum/castellum , determinando al giorno d'oggi una oggettiva difficoltà nello studio dell'incastellamento italiano [24] , che spesso dal solo dato archeologico ritrova chiarezza. E' comunque bene notare come Castelnuovo nella prima apparizione documentaria oggi disponibile, appaia come castellum , poi nel più inflazionato castrum .

  Ciò che oggi rimane di questo insediamento è frutto della volontà dei Malatesta che nel XIV° sec. [25] vollero dotarlo di possenti sistemi difensivi, i quali ricalcano gli stilemi più classici delle fortificazioni malatestiane, la rocca di Castelnuovo, com'è consuetudine per l'architettura militare del tempo, è dotata di un imponente cortina con il paramento realizzato in conci di roccia locale ottimamente squadrata, intervallati da una cordonatura in cotto che determina il cambio di inclinazione; le mura dotate di scarpa fortemente inclinata erano atte, assieme all'altezza notevole, a scoraggiare eventuali assalti con scale da parte del nemico. Anche la pianta dimostra un'attenzione alle più moderne tecnologie belliche esistenti all'epoca [26] : la struttura è sfaccettata ed articolata, con espansioni irregolari, in linea con il pensiero funzionalista che guidò soventemente la mano dei Malatesti nell'organizzazione delle rocche di proprietà [27] . La tecnologia costruttiva, soprattutto negli alzati all'interno delle mura e nel torrione, oggi crollato, che stava a difesa dell'accesso a valle, richiama metodiche presenti anche a San Giovanni [28] , con muri a sacco al cui interno è un riempimento sciolto di svariata natura, l'apparecchiatura lapidea ha filari disomogenei, anche se nell'insieme sono individuabili i corsi, sono visibili numerose interpolazioni a laterizio (probabilmente successive) e nelle angolature il tessuto murario è più curato e di maggiori dimensioni, per garantire una maggiore resistenza alle sollecitazioni meccaniche. Molto interessante è una mappa del Catasto Pontificio datata al 1830 che evidenzia quella che sembra essere un'area residenziale divisa strutturalmente da uno spalto (similitudini, anche se con altre proporzioni, rintracciabili nella Rocca di Verrucchio), che si affaccia a nord/est in corrispondenza del dislivello maggiore che la testa di crinale su cui sorge Castelnuovo crea (oltre cento metri, mentre la linea di controcrinale sud/ovest si attesta a meno di cento metri) e rivolto verso altre rocche come Onferno e Gemmano, capaci a loro volta di comunicare messaggi fino all'importante centro di Montefiore. Un'ulteriore osservazione che è possibile fare grazie alla mappetta catastale del 1830, è la diversa articolazione che Castelnuovo ha assunto nel corso del periodo recente, l'abitato e la rocca si disponevano lungo un asse viario rettilineo, che poi venne sostituito dall'attuale percorso; una recente ripresa aerea mostra delle interessanti anomalie della vegetazione che riportano alla memoria questo antico tracciato, probabilmente accompagnato ai lati, da fossi di scolo delle acque nei pressi delle abitazioni. Appare a questo punto logica e funzionale la maestosa muraglia di sud-est che si appalesava a chi si avvicinava dall'antico tracciato. E' possibile che anche Castelnuovo abbia progressivamente assunto la fisionomia di rocca-corte, abbandonando gradualmente la vocazione militare difensiva come unica connotazione, l'articolazione moderna delle strutture superstiti sembra suggerirlo, fenomeno del resto che ha coinvolto altri centri importanti come Montefiore e Verrucchio [29] . Sarebbe interessante procedere al recupero dei perimetri originali interni della rocca ed effettuare saggi di scavo che potrebbero finalmente dar credito alle ipotesi fatte: il modello di indagine friulano è un esempio da seguire [30] in questo senso. All'esterno delle mura si è poi sviluppato un burgus (nella sua accezione più classica del termine di sistema abitativo extramuraneo) del qual è ancora possibile notare i livelli di addossamento alle mura. Un discorso a parte lo merita la chiesa, oggi pesantemente lesionata nella sua copertura; l'orientamento non è quello canonico, il suo asse si sviluppa secundum natura , si innesta cioè sulla strada che serve il borgo, dalla quale ricava anche una sorta di sagrato a causa della svolta che compie davanti ad essa, la parte più interessante è il paramento esterno della conca absidale, semicircolare sia all'interno che all'esterno, l'abside, nonostante non presenti più gli stilemi della più classica tradizione paleocristiana, come le lesene di attacco al corpo dell'edificio, o le monofore che hanno caratterizzato con la loro "luce cristiana", mediante le loro proporzioni, i primissimi orizzonti della cristianizzazione ravennate, ha comunque un equilibrio dato anche dai corsi dei conci in pietra, che con le dovute cautele del caso, fanno pensare a stilemi pienamente medievali della struttura. Lo squarcio che attualmente interessa la copertura, permette alcune osservazioni interessanti: l'analisi delle strutture presenti nell'estradosso della volta, indicano una precedente fase della chiesa che vedeva l'aula interna voltata a capriate lignee, sono ancora visibili due eleganti mensole intagliate che sorreggevano la trabeazione originale; alcune tamponature nella parete sinistra suggeriscono la presenza di aperture, esternamente non più apprezzabili a causa dell'addossamento di altre abitazioni; il paramento murario è realizzato con mattoni e pietre di medie dimensioni, in buona parte squadrate, con sdoppiamenti frequenti dei corsi, tipologia che, stilisticamente, trova analogie con la fase IV (inizio del XIV sec.) delle tipologie murarie indagate nella non lontana abbazia di Santa Maria del Mutino in località Monastero [31] .E' significativo notare come ancora oggi la chiesa risponda alla divisione tra chiese di mattoni/pietra a cui tutta la regione sembra sottostare. E'a questo punto auspicabile che i lavori di risanamento, ormai indifferibili, partano da un'analisi archeologica delle strutture, analizzando stratigraficamente gli alzati, ridando splendore a questo piccolo gioiello per troppo tempo dimenticato.

[1] L. Mascanzoni , La "Descriptio Romandiole" del card. Anglic. Introduzione e testo , Bologna s.d., p. 248 e p. 285

[2] P.G. Pasini , Arte in Valconca. Dal Medioevo al Rinascimento , Milano 1996

[3] G. Allegretti-F.V. Lombardi (a cura di), Il Montefeltro, ambiente, storia, arte nelle alte valli del Foglia e del Conca , 1995; P. Meldini-P.G. Pasini-S.Pivato , Natura e cultura nella valle del Conca , Rimini 1982.

[4] P.G. Pasini , Arte in Valconca. Dal Medioevo al Rinascimento , Milano 1996; G. Fasoli , Castelli e vie di comunicazione , in Natura e cultura nella valle del Conca , Rimini 1982.

[5] M. Sassi , Castelli in Romagna. L'incastellamento tra X e XII secolo nelle province romagnole e nel Montefeltro , Cesena 2005

[6] G. Pasquali , Contadini e signori della bassa. Insediamenti e "deserta" del ravennate e del ferrarese nel medioevo , (Biblioteca di Storia Agraria Medievale), Bologna 1995

[7] R. Bernacchia , Incastellamento e distretti rurali nella Marca Anconetana. Secoli X-XII , Todi 2002.

[8] C. Molducci , Per uno studio sull'incastellamento in Romania fra IX e XI secolo: nuove proposte per vecchi problemi , in III Congresso Nazionale di Archeologia Medievale , Salerno 2003, pp. 320-324

[9] M. Barogi , Della Valle del Conca e del suo Archeolito , in Archeologia in Valconca. Tracce del popolamento tra l'Età del Ferro e la Romanità, Milano 1998, pp. 19-29; G. Conti-P. Tamburini-R. Tani , Dentro il territorio , Firenze 1989

[10] L. Carpo (a cura di), Paolo Diacono. Storia dei Longobardi , Milano 1998

[11] A. Carile , Introduzione alla Storia Bizantina , Bologna 1988

[12] L. Ioni , Strade, approdi e popolamento della Valle del Conca dalle origini al Medioevo , Rimini 2004

[13] G. Conti-P. Tamburini-R. Tani , Dentro il territorio , cit.

[14] G. Trovabene , Viaggio fra le rocche e i castelli della provincia di Ravenna , Ravenna 1999

[15] A. Veggiani , La Romagna , in La formazione della città in Emilia Romagna. Prime esperienze urbane attraverso le nuove scoperte archeologiche , Cittadella 1988, pp. 45-55

[16] M. Sassi , Castelli in Romagna, cit ; F. V. Lombardi , La bolla di OnorioII a Pietro vescovo del Montefeltro (anno 1125), << Studi Montefeltrani>> IV (1976), pp. 59-99

[17] F. V. Lombardi-G. Allegretti , Auditore , Auditore 1989

[18] F. Montevecchi, Rocche e Castelli di Romagna 3 , Bologna 1972

[19] A. Mercati-E. Nasalli Rocca, P. Sella (a cura di), Rationes Decimarum italiane nei secoli XIII e XIV , Città del Vaticano 1933

[20] F. Piuzzi , Contributi per lo studio dell'incastellamento nel nord-est italiano. Le strutture protofeudali alla luce di recenti dati archeologici (IX-XII secolo) , in II° Congresso nazionale di archeologia medievale , Firenze 2000, pp. 132-143

[21] G. Ravegnani , Castelli e città fortificate nel VI secolo, Ravenna 1983; A. Settia , Castelli e villaggi nell'Italia padana. Popolamento, potere e sicurezza fra IX e XIII secolo , Napoli 1984

[22] G. Ravegnani , Castelli e città fortificate nel VI secolo , cit.; R. Francovich , Presentazione , in Nuove ricerche sui castelli altomedievali in Italia settentrionale , Firenze 1996, pp. 5-6

[23] R. Francovich , Presentazione , cit.

[24] M. Sassi , Castelli in Romagna, cit

[25] G. Timperi , A ritroso nel tempo fra vecchie cose , Urbania 1978

[26] P.G. Pasini , Arte in Valconca , cit.

[27] P. G. Pasini , Rocche e castelli malatestiane e nel Riminese , Rimini 2003.

[28] A. Pisani , I ruderi di San Giovanni , in Auditore , Auditore 1989, pp. 18-22

[29] M. Valeriani-G. Bravetti Magnoni , Montefiore e la sua rocca, storia, mistero e leggenda , Rimini 1997

[30] F. Piuzzi , Contributi per lo studio , cit.

[31] C.Cerioni-C.Cosi-G.Vannini , Archeologia degli elevati nel Montefeltro medievale. L'abbazia di S. Maria del Mutino in località Monastero (PU) , in IV Congresso nazionale di Archeologia Medievale , Firenze 2006, pp. 595-600


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