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Fabrizio Vistoli, Aspetti poco noti dell’azione pastorale di papa Pasquale II in alcune epigrafi lapidarie di San Lorenzo in Lucina a Roma

La chiesa romana di San Lorenzo in Lucina, ubicata nel Campo Marzio settentrionale, presso l’antico tracciato urbano della via Flaminia corrispondente all’attuale via del Corso, fu eretta nella prima metà del V secolo, più precisamente nel 435 d.C., sotto il pontificato di Sisto III (432-440), prendendo il nome, secondo una tradizione ritenuta oggi non molto attendibile, dalla nobile matrona romana – Lucina appunto – che avrebbe messo la sua abitazione a disposizione della comunità cristiana.
Restaurata più volte a partire dal VII secolo, la chiesa assunse forme basilicali nel XII, quando, con lavori promossi dal pontefice Pasquale II (1099-1118) e proseguiti sino alla sua riconsacrazione effettuata nel 1196 da parte di Celestino III (1191-1198), furono realizzati la torre campanaria a doppie bifore ed il portico romanico.
All’interno di quest’ultimo, sostenuto da sei colonne di granito grigio con capitelli e basi di spoglio, sono sistemate, almeno dal terzo venticinquennio del XVII secolo, numerose lapidi, rilievi marmorei e documenti epigrafici, alcuni dei quali rilevanti per la storia della basilica stessa.
Lo studio di alcune di queste iscrizioni ‘storiche’ murate sulla facciata esterna dell’edificio (a destra del portale principale dando le spalle all’ingresso), combinato con l’esame di un’ulteriore epigrafe dal supporto un po’ speciale conservata al suo interno (al centro del coro ligneo del XVIII secolo), ha consentito la dettagliata ricostruzione di una serie di eventi (quali restauri, consacrazioni e riconsacrazioni, realizzazione di nuovi altari e ‘raccolte’ di reliquie martiriali) che in un arco cronologico strettissimo, compreso entro il primo venticinquennio del XII secolo, coinvolsero l’edificio sacro.
La registrazione epigrafica – cui si affiancherà, nel proseguo del tempo, quella ‘letteraria’ – di queste attività materiali e rituali connesse con l’‘istituzionalizzazione’ della Chiesa e/o con il ripristino dell’edificio al culto, se da un lato costituisce da se stessa, com’è ovvio, preziosa fonte diretta di informazione documentaria, dall’altro invece implicitamente lumeggia alcuni aspetti non immediatamente percepibili della politica ecclesiastica (o meglio papale) del tempo, che pur sempre guidata da precisi intenti religiosi nella conduzione e gestione degli spazi sacri, nonché nella promozione delle principali devozioni urbane, sembra tuttavia non restare immune da tentazioni di tipo auto-apologetico e di glorificazione del mecenatismo clericale, che nel caso specifico, come si è dimostrato, coinvolse a più riprese – potremmo dire: in più fasi –, il tempio cristiano di cui si discute, oggetto di speciali attenzioni da parte di diversi Vicari di Cristo nel basso medioevo, tra i quali spicca il nome già menzionato di Pasquale II.
Proprio questo Pontefice, la cui politica di riforma moralizzatrice della Chiesa e di lotta alle ingerenze laiche nella sfera ecclesiastica è stata a più riprese oggetto di indagini, affidò all’epigrafia monumentale di apparato (ad un tipo di scrittura, cioè, destinata alla pubblica esposizione e lettura ‘collettiva’), la trasmissione del ricordo della sua “sacra devotio per loca sancta, per Martyrum cimiteria, per votiva sollemnia pedibus”, facendo redigere una serie di testi incisi su pietra che, tanto nella basilica ubicata in Campo Marzio, quanto nel chiuso di altre chiese romane, costituissero cronaca e insieme celebrazione della sua vigorosa azione pastorale di ispirazione gregoriana, tesa alla ferma rivendicazione (e quindi al consolidamento) del primato della “Sedes apostolica” attraverso un nuovo fervore di imprese architettoniche religiose, nonché votata ad una più efficace “cura animarum” mediante il rinvigorimento, presso il clero ed il laicato a lui contemporanei, del culto dei santi e delle reliquie, le sole garanti materiali, queste ultime, di salute, salvezza e prosperità per i membri della “civitas christiana”.

Bibliografia:

F. Vistoli, Pratica ed impiego della «scrittura epigrafica esposta» da parte della Chiesa di Roma nel basso Medioevo: l’esempio di S. Lorenzo in Lucina, in Temporis Signa. Archeologia della tarda antichità e del medioevo. Rivista della Fondazione Centro italiano di studi sull’alto medioevo di Spoleto, I, 2006, pp. 403-417; Id., Papi e martiri, traslazioni e reliquie. Contributo alla storia medievale di S. Lorenzo in Lucina alla luce di una “nuova” lettura delle epigrafi del portico, in Emergenze storico-archeologiche di un settore del suburbio di Roma: la Tenuta dell’Acqua Traversa (Atti della Giornata di Studio, Roma 7 giugno 2003), a cura di F. Vistoli, Roma 2005, pp. 97-109.



Fabrizio Vistoli
visckas@libero.it

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