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Cono A. Mangieri, Gentucca ... figlia spuria di Dante?

7. Il fatto che tanta parte della scena onirica suggerisca un evento lussuri­oso va ritenuto prova della gravità del peccato. Dunque dev'essersi trattato di un'azione immorale ed irreligiosa simultaneamente, considerata quasi imperdonabile dal maturo poeta intento a vuotare il sacco: è stato una specie di 'peccato originale' spiccatamente epicureo con una cornice storico-cronologica che non comprende, secondo me, la complicità di Forese, la cui modestia sessuale è motivo di derisione nella Tenzone, [1] ma la cui fedeltà coniugale viene evidenziata proprio durante l'incontro purgatoriale. [2]

Questa cornice storico-cronologica, entro la quale bisogna collocare il peccato lussurioso gravante su Dante purgatoriale (ed ovviamente anche su Dante infer-nale), è molto importante per le finalità biografico-allegoriche, sicché risulta impellente un tentativo di fissaggio da parte nostra. Logicamente è tutt'altro che facile farlo, però non impossibile, giacché adesso noi siamo in possesso di parecchie cognizioni nuove inerenti al modus vivendi, all'habitus mentis ed alla simbologia del poeta. Per esempio, sappiamo che il Purgatorio, anzi l'intero poema, presenta uno spiccato autobiografismo convertito in allegoria, la cui esistenza va sospettata anche nella Vita Nuova e nella Tenzone. Inoltre sappiamo che il Dante Protagonista del Purgatorio è in possesso di un razionalismo etico-fisico di carattere peripatetico (Vergilio), pur essendo logico e palmare che il Dante storico non possa esserlo stato da sempre. Difatti nel resoconto autobiografico-allegorico del poema Vergilio compare poco dopo il «mezzo del cammin di nostra vita»; il che vuol dire che Dante, fino a quel tempo, deve aver posseduto un altro razionalismo, oppure più d'uno in ordine consecutivo, i quali sono stati meno edificanti o addirittura negativi per la gioventù dantesca.

Che ciò sia vero, lo abbiamo accertato constatando che il poeta si autoaccusa dei tre peccati edonistici commessi, dunque, durante un periodo più o meno lungo di razionalismo epicureo cominciato nel 1289, simboleggiato dalla Seconda Donna Schermo in Vita Nuova, e dalla Femmina Balba nel Purgatorio. Non ci vuol molta perspicacia, a questo punto, per capire che sia stato proprio il 'falso' razionalismo epicureo a indirizzare Dante verso la «selva oscura», nella quale egli si è poi smarrito fin dopo il «mezzo del cammin di nostra vita». [3] Non è questa la sede per appurare nei dettagli se ci sia stato, tra il periodo epicureo e quello peripatetico, un periodo intermedio di razionalismo stoico simboleggiato dal binomio Ulisse/Catone: per ora, ci basta aver assodato che Dante abbia conosciuto sul finire dell'adolescenza un periodo di razionalismo epicureo, durante il quale ha commesso i tre peccati edonistici di cui si autoaccusa nel racconto allegorico purgatoriale.

Io sono dell'avviso che sia assolutamente illusorio ed esegeticamente fuorviante credere che Dante, nella realtà della vita, si sia comportato in maniera diversa da tanti altri giovani intellettuali della Storia, dei quali alcuni sono divenuti in seguito eccellentissimi, per esempio sant'Agostino e Boezio. [4] Stimolato dai bollenti spiriti peculiari all'adolescenza, ed influenzato evidentemente dalla dolce «chompagnia» cavalcantiana, anche Dante si è lasciato allettare da una leggera forma di edonismo studentesco (Prima Donna Schermo), che più tardi si è tramutato in vero e proprio epicureismo anche filosofico (Seconda Donna Schermo), il quale ha condizionato pure la mentalità religiosa. Questa non è una supposizione biografica, bensì una certezza addirittura autobiografica, giacché se ne trovano le prove sia nel Purgatorio sia nella Vita Nuova : per venirne a conoscenza, basta soltanto trapassare oltre il velo del linguaggio figurato. In effetti abbiamo già considerato che il 'silenzio di Beatrice', in Vita Nuova X, rappresenta la conseguenza del nuovo razionalismo epicureo adottato da Dante subito dopo il ritorno dalla 'cavalcata' di Vita Nuova IX. E' palmare che quest'improvviso raffreddamento sopravvenuto nei rapporti (sempre allegorici) tra Beatrice e Dante possa essere stato causato solamente da un opportunistico cambio di intellettualismo da parte del giovane poeta, e che il nuovo intellettualismo sia stato di fondamento epicureo, simboleggiato nel Purgatorio dalla Femmina Balba e nella Vita Nuova dalla Seconda Donna Schermo. In effetti, il passaggio di Dante da una forma di edonismo prodigo e bontempone ad una forma più 'filosofica' di epicureismo non è difficile da giustificare: il successo della campagna militare contro Arezzo ha portato pure al giovane 'cavaliere feditore' onore e riconoscimento fra i concittadini; onde egli deve aver deciso di darsi più di prima alla dolce vita, facendosi anche fautore dei precetti filosofici di Epicuro per distinguersi dottrinalmente da tanti altri 'epicurei' che in quei tempi infestavano Firenze. [5] Come se ciò non fosse bastato, qualche mese dopo Campaldino venne condotta la Taglia contro Pisa, alla quale Dante partecipò di bel nuovo come 'cavaliere feditore': anche questa spedizione militare risultò vittoriosa, terminando con la conquista di molte terre del Pisano, tra cui il castello di Caprona. [6] 

Nell'estate del 1289, dunque, Dante ha avuto le migliori occasioni per commettere azioni lussuriose, e sicuramente quelle di cui egli mostra di pentirsi nel settimo Girone del Purgatorio. Anzi, confesso di credere che l'atto lussurioso da purgare sia stato uno solo e che esso sia avvenuto appunto durante la Taglia contro Pisa, nell'agosto del 1289. Questa Taglia, a cui parteciparono 2.000 fanti e 400 cavalieri guelfi di Firenze, [7] era in verità costituita anzitutto da Lucchesi e capitaneggiata da Ugolino (Nino) Visconti, lo stesso personaggio che Dante Protagonista incontra con molta festa nella Valletta dei Principi. Ora una delle dimore preferite dal «giudice Nin gentil» era appunto Lucca, la città che Buonagiunta ricorda con tanta suggeritiva affezione parlando di Gentucca, in Pg. XIV:


«Femmina è nata, e non porta ancor benda,»

cominciò el, «che ti farà piacere

la mia città, come ch'uom la riprenda» (vv. 43-5).


E poiché io non trovo, in tutta la seconda cantica, nessun altro accenno di carattere venereo riferibile al peccato di Lussuria commesso dal poeta nel suo 'periodo epicureo' e confessato sia attraverso la settima 'P' sia tramite la Femmina Balba, io sono pervenuto alla conclusione che tale peccato abbia appunto a che fare con la bambina lucchese menzionata da Buonagiunta, vale a dire «Gentucca». Però non nel senso inteso finora dai commentatori danteschi, parlanti di una donna (per di più maritata) che Dante avrebbe amato in età già matura (si è pensato al 1317), magari anche solo platonicamente (come opinò con disappunto il Buti): secondo la mia convinzione, «Gentucca» sarebbe invece soltanto il frutto, il risultato dell'atto lussurioso dantesco. Essa sarebbe dunque una figlia illegittima del nostro poeta, nata da un suo fuggevole flirt con una giovane del Lucchese oppure del Pisano, nel tempo in cui egli aveva partecipato alla vittoriosa Taglia contro Pisa.

Che Gentucca possa essere una figlia spuria di Dante, molto probabilmente venuta al mondo verso la fine di maggio del 1290 e ritrovata per caso durante l'esilio (io penso al tempo tra il 1306 e il 1308, quando Dante sostò nella Lunigiana e nella Toscana Marittima, dunque indubbiamente anche a Lucca), appare suggerito dalle parole stesse di Buonagiunta,


femmina è nata, e non porta ancor benda,


dalle quali traspare una situazione senz'altro confacente a una bambina di non ancora dieci anni nell'aprile del 1300, età in cui le femmine toscane non venivano ancora accoppiate contrattualmente a un maschio, anche se si preferiva farlo al più presto, in genere a partire dall'età di dodici anni (per analogia con Maria Vergine, la quale a dodici anni d'età venne promessa a Giuseppe). [8] La «benda» era una fascia di stoffa (sempre bianca per le vedove) che le donne promesse o sposate della Toscana (ma pure d'altre regioni italiane) portavano fortemente stretta attorno alla fronte, a partire dal giorno dell'accoppiamento contrattuale combinato dai genitori. La benda indicava appunto la condizione di donna promessa o sposata, simboleggiava la fedeltà e la temperanza, dunque era un segno di moralità e di serietà muliebre, tanto che strapparla dal capo di una donna veniva considerata offesa imperdonabile. [9] Se Gentucca non la portava ancora sulla fronte nell'aprile del 1300, pertanto, ciò non vuol dire esclusivamente che essa non fosse ancora promessa o sposata, ma può anche dire che non avesse ancora raggiunto l'età minima di dodici anni.

Che Gentucca non possa essere (stata) una donna amata lussuriosamente o temperatamente o solo platonicamente da un Dante ormai anziano, io penso di vederlo suggerito in Pg. XXIV 47-8,


se nel mio mormorar prendesti errore,

dichiareranti ancor le cose vere;


parole con cui Buonagiunta, secondo me, chiarisce proprio che non si tratta (o meglio: che non si tratterà, essendo una 'profezia') di una relazione amorosa in senso intersessuale, come potrebbe far credere l'uso del vocabolo «piacere», che rientra nella sfera della sensualità e rimanda, anzi, appunto al «piacere» di cui parla la Femmina Balba/Dolce Serena (Pg. XIX 21), specie se espresso in combinazione con quel nome femminile sbiascicato poco prima quasi a mo' di pettegolezzo. A parte ciò, un ulteriore e più decisivo impedimento a intendere l'episodio di Gentucca in senso direttamente lussurioso, o sia pure platonico (ma va tenuto presente che l'amore platonico non esclude sensualità di pensiero, anche se riesce a frenare la messa in atto), è costituito dal significato polisemo globale del Purgatorio stesso, cantica in cui si allegorizza appunto il perfezionamento filosofico-teologico (ossia etico-fisico-politico-religioso) al quale si è sottoposto volontariamente l'autore (impersonato dal Protagonista), allo scopo di acquisire la massima perfezione terrena simboleggiata dall'Eden. E non si vorrà affermare che Dante, dopo l'acquisizione della massima perfezione terrena, abbia commesso un adulterio, che per di più viene pronosticato nel canto XXIV del Purgatorio...

A questo punto, qualche lettore potrebbe alzare stufatissimo la voce per esclamare: ma, insomma, tu ci proponi di accettare una figlia illegittima di Dante, laddove noi ci siamo appena abituati a considerar tale quel «Johannes filius Dantis Alagherii de Florentia», che compare nell'atto notarile lucchese scoperto tempo addietro da F.P.Luiso? Non ti pare che due figli illegittimi siano un po' troppi, per un divino poeta ?... Ebbene, confesso che anch'io m'ero quasi abituato a ritenere Giovanni di Dante Alagherio (chiamiamolo così) un figlio spurio del nostro poeta, come del resto fecero tanti altri critici, tra cui l'autorevole Michele Barbi; [10] laddove in verità lo stesso Luiso, comunicando la sua scoperta, aveva avanzato dubbi sull'identità, preferendo pensare a un altro «Dantes Alagherii de Florentia». Mi ci ero quasi abituato, dicevo, ma ora sono del fermo parere che noi tutti, nei passati decenni, abbiamo preso un granchio vedendo nel Dante del documento il nostro poeta, e in Giovanni un suo figlio illegittimo.

Mi ha fatto cambiare idea un semplice ragionamento, secondo il quale impossibilmente quell'atto notarile lucchese potrebbe avere a che fare direttamente o indirettamente con l'autore della Divina Commedia. In primo luogo, mi pare che la menzione della paternità di Giovanni escluda che si possa trattare di un figlio illegittimo: generalmente, infatti, al figlio illegittimo veniva dato il nome del casato materno, finché la madre non avesse formato col genitore in questione una coppia legale, cioè riconosciuta pure ecclesiasticamente. Negli atti notarili due-trecenteschi e medioevali in genere, quando si menzionava il nome proprio di una persona, testimone o contraente che fosse, per dichiararne il casato e distinguerla da eventuali omonimi s'aggiungeva la paternità legale, completa di cognome e di luogo di provenienza, con un «quondam / condam» nel caso che il padre legale fosse deceduto. Ciò risulta anche dal suddetto documento lucchese, che io riporto estraendolo dal citato lavoro di M.Barbi (p. 347):

Orlandus quondam Arrigi Moriconis et Vannes condam Datonis Moriconis et Guccius Nicolai Moriconis, socii cives et mercatores lucani, omnes simul et quilibet eorum in solidum stipulatione solemni promiserunt et convenerunt Ianni Bonaccursi, civi et mercatori florentino de societate Macciorum de Florentia stipulanti et recipienti pro se ipso et gestorio nomine pro Berto de Macciis et Bindo Tingnosi de Macciis et More Bonaccursi, sociis civibus et mercatoribus florentinis de dicta societate Macciorum, et Micheluccio condam Fredi Gentilis, cive et mercatore lucano eorum hospite et in solidum etc., in presentibus nundinis S.Angulfi etc., libras sexcentas turonensium parvorum expendibilium de Francia fragilis decurse monete, quas confitentur se eis vel uni eorum dare debere pro cambio librarum DCCLXII et soldorum X bonorum denariorum lucensium ad bonam monetam mercandilem ad rationem denariorum XV et quarti unius lucensium pro quolibet soldo turonensi etc., ut moris est et scribere voluero. 

Actum Luce, in curte dictorum debitorum et consortum iuxta putheum, coram Guidone Appicchalcanis notario de Luca et Iohanne filio Dantis Alagherii de Florentia testibus ad hec rogatis, suprascriptis anno et indictione et die (= Anno Domini MCCCVIII, indictione VII, XII Kalendas novembris).

Rabbitus Toringhelli notarius hec subscripsi.

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[1] A tal proposito, si veda quel che ne dice Dante nel quinto sonetto:

Di Bicci e de' fratei posso contare

che, per lo sangue lor, del male acquisto

sanno a lor donne buon cognati stare.

[2] Cfr. Pg. XXIII 91-3, dove Dante lascia dire da Forese:

Tanto è a Dio più cara e più diletta

la vedovella mia, che molto amai,

quanto in bene operare è più soletta.

[3] La 'falsità' della dottrina epicurea e la sua colpa per il traviamento giovanile dantesco vengono denunciate in Pg. XXX 130-3, dove Beatrice Edenica allude al Dante del periodo cronologico in questione (1289-90):

e volse i passi suoi per via non vera,

imagini di ben seguendo false,

che nulla promession rendono intera.

Le «imagini» menzionate da Beatrice sono appunto quelle predicate da Epicuro, come Dante poteva sapere da CICERONE, De finibus I 21 (opera menzionata più volte nel Convivio ), parlando di Epicuro e accusandolo di aver plagiato Democrito: «Ita, quae (Epicurus) mutat, ea corrumpit; quae sequitur, sunt tota Democriti: atomi, inane, imagines, quae e ? d ? ? a nominant, quorum incursione non solum videamus, sed etiam cogitemus».

[4] Certamente non è senza implicazioni suggeritive, se Dante conviviale ci fa sapere di essersi rimesso su una strada migliore grazie alla lettura dell'autobiografia di Boezio (De consolatione Philosophiae), che lo avrebbe indirizzato verso Cicerone e verso il mondo stoico. Altrettanto suggeritivo è il fatto che egli estragga dall'autobiografia di sant'Agostino (Confessiones) l'esempio che lo ha fatto passare di male in buono, di buono in meglio e di meglio in ottimo (vd. a tal riguardo Convivio I ii 14).

[5] Per giustificare questo pensiero esegetico, mi basta rimandare il lettore alle nostalgiche parole con cui Cacciaguida elogia i costumi decorosi dei Fiorentini del suo tempo (Sec. XII) e condanna quelli depravati (appunto edonistici) dei Fiorentini due-trecenteschi (Pd. XV 100 sgg).

[6] La partecipazione di Dante alla Taglia contro Pisa, e sicuramente all'assedio del castello di Caprona, viene suggerita, o si dica attestata, dal poeta stesso, in If. XXI 94-6:

Così vid'io già temer li fanti

ch'uscivan patteggiati di Caprona,

veggendo sé tra nemici cotanti.

[7] Cfr. VILLANI, Cronica VII 136.

[8] A proposito di quest'età troppo giovanile, vanno ricordate le parole con cui Cacciaguida critica i costumi dei Fiorentini due-trecenteschi rispetto a quelli più decorosi dei suoi tempi (Pd. XV 103-5):

Non faceva, nascendo, ancor paura

la figlia al padre; ché 'l tempo e la dote

non fuggien quinci e quindi la misura;

tuttavia è lecito considerare esagerata l'interpretazione di questi versi da parte di A.LANCIA: «Allora, quando nascea una figliuola ad alcuno, non si generava però paura nel suo animo di non poterla maritare, sì come si fa oggi; però che aspettavano a maritarle d'etade sufficiente, oggi le maritano nella culla; e la dote era con misura, sì che non facea da temere: ora sono tali che se ne va una con tutto quello che ha il padre» (L'ottimo commento della Divina Commedia, cur. A.Torri, Pisa, Capurro 1827-9, ad locum).

[9] Cfr. almeno lo studio specialistico, valido per tutta la Toscana, compilato da L. ZDEKAUER, Vita privata dei Senesi nel Dugento, Bologna, Forni 1973, p. 45.

[10] Cfr. BARBI, Problemi, II, Firenze, Sansoni 1956, pp. 347-370.

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