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Gabriele Giannini, Qualità dei gallicismi e fenomeni di attrazione del significante presso i poeti federiciani, in «Quaderni di filologia romanza della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bologna», n.12-13, 1995-1998, Pàtron, Bologna 1999, pagg. 325-347

In questo saggio di prossima pubblicazione si è inteso analizzare densità e dislocamento dei forestierismi galloromanzi nei testi della Scuola poetica siciliana, esercitandosi sulle canzoni più direttamente implicate con antecedenti provenzali noti, nell’intento di distinguere i gallicismi trasmessi dalla fonte tematica individuata rispetto a quelli introdotti "gratuitamente" nel procedere del discorso lirico, sia nei luoghi di ripresa topica manifesta che nelle zone di indipendenza elaborativa, senza trascurare il caratteristico fenomeno della sostituzione del gallicismo del modello con altro forestierismo, talora sinonimico, prelevato in absentia dal codice provenzale in astratto oppure anticipato ovvero ricuperato da area diversa del medesimo testo di riferimento. Individuato come scarsamente rilevante l’occorrere di quei provenzalismi lessicali e semantici uniformemente diffusi in ogni testo poetico delle Origini (gioi/noi o la serie di gallicizzanti composti in -enza/-anza) e comprovata la sostanziale assenza di provenzalismi rari e potentemente espressivi quale diretta conseguenza della condivisa esigenza di attenersi ad una medietas stilistica che rispecchi il canone di autori prescelti dai fondatori della Scuola, si sono raggruppate alcune prove poetiche dei maggiori in ordine all’affine atteggiamento da esse dimostrato nei confronti del materiale linguistico d’oltralpe.

Un primo compatto gruppo di liriche, formato da tre canzoni notariane, da Per fin’amore vao di Rinaldo d’Aquino e dal planh di Giacomino Pugliese, unisce alla straordinaria densità di gallicismi l’inusuale riproposizione di elementi formali e tecnici propri della poesia occitanica (stanze unissonans e capfinidas, rime in -enza o -anza), secondo moduli metrico-prosodici tanto diffusi oltralpe quanto trascurati nel corso del trapianto in terra di Sicilia: appare evidente che questo insieme di saggi testimonia di una fase del nascente movimento ancora intesa a metabolizzare per via imitativa gli elementi fondanti dell’esperienza eletta a modello.

Pir meu cori alligrari di Stefano Protonotaro e Umile core e fino e amoroso del Mostacci sono accomunate invece dal subitaneo incremento di originali gallicismi nelle zone in cui il distacco dai soggiacenti modelli provenzali è più marcato, a dimostrazione della volontà di sottomettere ogni autonoma elaborazione ad un universo culturale, richiamato sotto figura stilistica, considerato autorevole e per ciò stesso estensore di credibilità.

Al contrario l’accumulo di gallicismi in corrispondenza di prelievi certi dal corpus poetico provenzale pare obbedire in numerosi componimenti esaminati a motivazioni contingenti e personali, irriducibili ad uno schema unico di manipolazione del dato tràdito. Una medesima difformità di soluzioni si riscontra nell’analisi delle parziali "traduzioni" siciliane di testi occitanici, in cui però è stato possibile rimarcare la continua infiltrazione di francesismi veicolati da opere la cui presenza alla Curia federiciana è sovente disconosciuta.

Infine si individua ed esamina, all’interno dei processi di derivazione da fonte provenzale riconosciuta, il fenomeno dell’attrazione del significante originario entro un nuovo ordine semantico e sintattico in cui solo l’involucro esterno del segno rispecchia ancora, con illusoria fedeltà, la littera del modello, mentre in realtà il filo concettuale del discorso lirico siciliano segue ben altre direzioni di significato.

 Gabriele Giannini (gianno@mbox.queen.it)

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