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G.M. Ricchitelli, San Francesco e la crociata

Può risultare difficile, abituati come siamo all’ immagine di Francesco quale simbolo per eccellenza di pace, affrontare criticamente l’ atteggiamento dell’ assisiate nei confronti della crociata.
La storiografia, in particolare quella dell’ ultimo secolo, ha analizzato nel dettaglio biografie e scritti di Francesco senza riuscire a giungere ad una conclusione condivisa. Il problema fondamentale che gli storici hanno dovuto affrontare è la totale mancanza, negli autografi di Francesco, di riferimenti alla crociata e all’ incontro col sultano, che ebbe dopo essersi recato in Oriente.
E’ doveroso, prima di affrontare l’ argomento nello specifico, mettere ordine nel susseguirsi degli eventi: la volontà del santo di recarsi in Oriente è tramandata dalle fonti, che attestano un primo tentativo di raggiungere la Siria risalente al 1211, fallito a causa di una tempesta (1Cel.55), un secondo viaggio che attraverso la Spagna avrebbe dovuto condurlo in Marocco e che venne interrotto a causa di una malattia (1Cel.56) e una terza spedizione, finalmente riuscita, nel 1219, quando raggiunse Damietta, dove crociati e musulmani si fronteggiavano durante la quinta crociata, svoltasi tra 1217 e 1221.
La visita di Francesco al sultano Malik al-Kamil è da collocare nel periodo compreso tra la disfatta cristiana presso Damietta (29 agosto 1219) e la successiva vittoria dei crociati in novembre.
Tutto ciò che sappiamo di questo evento, a dire il vero piuttosto poco, ci è stato tramandato dai biografi del santo e da alcuni storici delle crociate. Nello specifico, l’ incontro viene riportato nelle seguenti opere:


- Jacques de Vitry, Historia Occidentalis (II, 32), redatta agli inizi degli anni venti del XIII secolo.
- Ernoul, Cronique (cap. 37, I-IV), databile intorno alla fine degli anni venti del 1200.
- Bernardo il Tesoriere, Liber de acquisitione Terrae Sanctae, 1229-1230
- Tommaso da Celano, Vita beati Francisci (Vita prima), 1229 circa.
- Bonaventura, Legenda Maior, cap. IX, approvata nel 1263
- Giordano da Giano, Chronica, cap.10, 1262
- Verba fratris Illuminati, risalenti a circa un secolo dalla morte di Francesco.

In verità quello che possiamo leggere in queste testimonianze poco ci aiuta a studiare e comprendere il problema dell' atteggiamento del santo rispetto alla crociata: sappiamo che in compagnia di un frate (Illuminato) si recò disarmato dal sultano, con cui ebbe modo di conversare. Cosa si dissero? Purtroppo è quasi impossibile dare una risposta esauriente a questa domanda: le fonti infatti non riportano discorsi degni di questo nome, limitandosi a dire che Francesco predicò e il sultano rimase affascinato dalla sua persona. Le uniche opere che riportano delle parole attribuite al santo sono la Legenda Maior e i Verba fratris Illuminati: dalla prima sappiamo che Francesco avrebbe sfidato il sultano all' ordalia, dalla seconda ricaviamo un discorso molto duro nei confronti dei saraceni. Per sgombrare il campo da possibili equivoci, bisogna dire che nell' opera bonaventuriana l' ordalia rappresenta il classico elemento agiografico, da prendere con le dovute precauzioni. A questo proposito ci sembrano un po' forzate le interpretazioni opposte che della fonte danno due storici autorevoli quali il Cardini e la Frugoni: il primo, dopo aver rilevato esplicitamente i caratteri agiografici delle biografie di Francesco, ricorre proprio al capitolo IX della Legenda Maior per sostenere che il santo si fosse recato in Oriente alla ricerca del martirio; la seconda accetta la proposta dell' ordalia e la interpreta come l' ennesimo gesto di umanità profonda operato dall' assisiate, che avrebbe proposto questa prova poiché era a conoscenza del fatto che Maometto aveva, a suo tempo, sfidato dei cristiani all' ordalia stessa. In poche parole Francesco avrebbe voluto attenersi ad una tradizione musulmana.
A nostro avviso la proposta dell' ordalia ( che era una pratica ben nota in Occidente e non peculiare dell' Oriente) va presa come elemento di contorno che non può, e non deve, influenzare la percezione della visita del santo al sultano.
Per giungere ad una corretta interpretazione dell' episodio bisogna spostare l' attenzione non su quello che si dissero o non dissero i protagonisti, quanto su cosa poteva significare nel contesto della crociata la decisione del santo di recarsi disarmato dal sovrano avversario.
Facciamo allora un passo indietro per parlare della disfatta cristiana presso Damietta del 29 agosto 1219; Francesco era presente quel giorno e le fonti ci dicono che tentò di dissuadere i crociati dall' attaccare battaglia:


Tempore quo Damiatam Christianorum exercitus obsidebat, aderat sanctus Dei cum sociis suis: siquidem fervore martyrii mare transierant. Cum igitur ad diem belli nostri pararentur in pugnam, audito hoc, sanctus vehementer indoluit. Dixtique socio suo: << Si tali die congressus fiat, ostendit mihi Dominus, non in prosperum cedere Christianis. Verum si hoc dixero, fatuus reputabor; si tacuero, conscientiam non evadam. Quid ergo tibi videtur?>>. Respondit socius eius dicens: << Pater, pro minimo tibi sit ut ab hominibus iudiceris, quia non modo incipis fatuus reputari. Exonera conscientiam tuam et Deum magis time quam homines>>. Exsilit ergo sanctus et salutaribus monitis Christianos aggreditur, prohibens bellum, denuntiam casum. Fit veritas in fabulam, induraverunt cor, suum et noluerunt adverti. Itur, commititur, bellatur, et de nostris dimicatur ab hostibus. In ipso vero pugnae tempore, suspensus animo, sanctus socium surgere ad intuendum facit, nihilque primo et secundo videntem tertio iubet inspicere. Et ecce! Tota in fugam versa militia christiana, finem belli opprobrium regerens, non triumphum. Tanta vero strage nostrorum imminutus est numerus, ut sex millia fuerint inter mortuos et captivos. Urgebat ergo sanctum de ipsis compassio, nec minus eos poenitudo de facto. Verum praecipue Hispanos plangebat, quorum promptiorem in armis audaciam cernebat paucolos reliquisse. Noverint haec principes orbis terrae et sciant quia contra Deum pugnare non est facile, id est contra Domini voluntatem. Exitiali fine terminari solet protervia, quae dum suis viribus nititur, caeleste subsidium non meretur. Si enim ex alto sperari debet victoria, divino sunt spiritu proelia committenda. (Tommaso da Celano, Vita secunda cap. IV, 30)


Il fatto è riportato, in maniera sostanzialmente speculare, anche da Bonaventura.
Gli storici, nell' interpretare questa fonte, si sono sostanzialmente divisi in due posizioni: alcuni di loro ritengono che il tentativo di fermare la battaglia quel giorno sia testimonianza della volontà di Francesco di porre fine alle ostilità una volta per tutte e, quindi, conferma della assoluta distanza del santo dagli ideali crociati; secondo altri il santo voleva, più semplicemente, che si evitasse la sconfitta annunciatagli dal Signore, il che non significa che fosse contrario alla crociata.
L' ambiguità della fonte non permette, oggettivamente, un' interpretazione chiara ed univoca; inoltre anche questo episodio nasconde, a nostro avviso, un elemento agiografico non secondario: la rivelazione divina fatta a Francesco sottolinea ulteriormente la sua vicinanza al Signore e finisce col suscitare qualche dubbio sull' attendibilità della narrazione.
Di grande interesse, per comprendere quale potesse essere l' idea che il santo si era fatto dei crociati, è il timore di essere ritenuto pazzo se avesse rivelato la predizione divina; come sottolinea il suo interlocutore, era già successo che qualcuno mettesse in dubbio la sanità mentale dell' assisiate, per cui una tale preoccupazione si giustifica solo ipotizzando che Francesco non avesse alcuna fiducia in quegli uomini che, pur combattendo in nome di Dio, non dovevano dimostrarsi in realtà buoni cristiani.
La conferma di una simile ipotesi sembra giungere da questo breve passo dell' Histoire d' Eracles:


[Francesco] venne all’ esercito di Damietta e vi operò molto bene, rimanendo fino a quando la città fu presa. Egli notò il male e il peccato che cominciavano a crescere tra la gente dell’ accampamento e ne provò tanto dispiacere che se ne andò via e si fermò per un pezzo in Siria; poi fece ritorno al suo paese.


Possiamo quindi ragionevolmente affermare che il santo rimase piuttosto deluso dal comportamento dei crociati; d' altro canto abbiamo ancora pochi elementi per poter esprimere con sicurezza quale fosse il suo atteggiamento rispetto alla crociata.
Passiamo allora ad esaminare un altro aspetto della vita di Francesco, ovvero il suo rapporto con la Chiesa del tempo; questa andava sempre più arricchendosi e secolarizzandosi, tanto che la quinta crociata è dovuta alle forti insistenze di Innocenzo III, che fece tutto il possibile per convincere i sovrani a partecipare alla spedizione in Oriente, fino ad arrivare a porre la guerra santa e giusta nei termini feudali dell’auxilium: la Terrasanta apparteneva al rex regum ed essi avevano il dovere vassallatico di aiutare a recuperarla. Certo questo aspetto restava subordinato al viaggio dell’ anima. A chi avesse cercato davvero il regno dei cieli, la Gerusalemme terrestre sarebbe stata data in sovrappiù: era necessario uscire dal peccato per conquistare la Terrasanta, non il contrario.
Aggiungiamo anche che a cavallo tra la fine del XII secolo e l' inizio del XIII si scatenò una forte persecuzione contro gli eretici: catari, valdesi, albigesi si trovarono ad essere strenuamente combattuti dalla Chiesa, tanto che venne addirittura organizzata una vera e propria crociata contro i catari. Francesco invece, pur adottando uno stile di vita che era più vicino a quello degli eretici che a quello della Chiesa, rimase sempre fedele alla Santa Sede, non mancando mai, nei suoi scritti, di affermare che i suoi seguaci avevano il dovere di obbedire ai prelati, addirittura anche se non ritenessero giusti i loro comportamenti: l' unico che poteva giudicare gli uomini di chiesa era Dio.
Per chiarire in breve il rapporto tra la Chiesa e Francesco ci sembra doveroso riportare le parole di W. Ullmann, che nel suo libro “Il papato nel medioevo” dice:


Se consideriamo la vastità delle iniziative curiali e il tipo di cristianesimo che esse riflettevano, non può stupire che si manifestasse una certa opposizione, sebbene questa non fosse diretta contro il papato in quanto istituzione. […] Il principale motivo di lagnanza dei piccoli – per loro stessa ammissione – gruppi di opposizione era che l’ alto clero trascurava la predicazione, suo preciso dovere, e accumulava troppe ricchezze; vi era qualcosa in comune con le precedenti manifestazioni di ribellione, come quella di Arnaldo da Brescia, con la differenza che questa volta la piattaforma principale del movimento stava proprio nella sostanza di questo cristianesimo ufficiale, e quindi l’ opposizione era molto più decisa di tutte quelle precedenti. I due gridi di battaglia erano quindi: predicazione errante e povertà apostolica.


A questi eretici come rispose Innocenzo III?


Il principio che ispirava Innocenzo era di assumere verso i dissidenti o in genere coloro che deviavano lo stesso atteggiamento che avrebbe adottato uno studioso di medicina nel curare una malattia, isolando cioè i sintomi per raggiungere le cause; l’ intervento andava concentrato nell’ estirpazione degli errori atti a intaccare la sostanza del cristianesimo, mentre le differenze inessenziali potevano essere trascurate. Fine di questa politica era di riportare nei ranghi il maggior numero possibile di devianti…


In questo clima ha dunque origine il movimento francescano:


All’ inizio essi non erano ortodossi affatto e il loro fondatore aderì totalmente al principio della povertà apostolica e della predicazione […] Dietro richiesta del fondatore, e grazie anche al potente appoggio offerto dal cardinale Ugolini, Innocenzo non sollevò alcuna obiezione contro il piccolo gruppo che si era creato intorno a Francesco (1210) a patto che essi rendessero conto al loro capo e questi a sua volta al papa. […] In ultima analisi fu la politica lungimirante di Innocenzo III a favorire la loro ascesa, anche se essi si inserivano malamente nell’ organizzazione ecclesiastica esistente; grazie alla loro struttura flessibile e facilmente adattabile, essi riuscirono a stabilire un contatto con quei settori della popolazione difficilmente raggiungibili dai secolari e specialmente dall’ alto clero e dai monaci, come erano ad esempio le popolazioni cittadine, a quell’ epoca in rapido sviluppo.


In un contesto del genere alcuni dubbi sulla genuinità del rapporto tra la Chiesa e Francesco si materializzano facilmente, influenzando la percezione dei silenzi del santo per quel che riguarda la crociata. Probabilmente egli tace non perché acconsenta, ma perché nella posizione in cui si trova non può fare altrimenti: essere legato alla Chiesa significa non poter esprimere del tutto liberamente la propria opinione, specialmente per quanto riguarda crociata e lotta all’ eresia, altro argomento su cui il santo non ci ha lasciato alcuna testimonianza.
Bisogna anche dire che Francesco riteneva l' esempio più importante delle parole; nel capitolo XI della Regula non bullata scrive:


E mostrino (i frati) con le opere l' amore che hanno fra di loro, come dice l' apostolo: << Non amiamo a parole né con la lingua, ma con le opere e in verità >>. E non oltraggino nessuno.

I silenzi del santo trovano quindi una spiegazione abbastanza soddisfacente intrecciando tra loro obbedienza alla Chiesa e convinzioni personali di origine evangelica. La visita al sultano potrebbe quindi essere considerata la dimostrazione pratica di come Francesco ritenesse corretto affrontare il nemico, il che non esclude che, in cuor suo, ci fosse la speranza di convertire gli infedeli rendendo di fatto inutile una prosecuzione delle attività belliche.
Rimane da esaminare, sia pur brevemente, un altro documento su cui si è scritto tanto trattando l' argomento di cui ci stiamo occupando: il capitolo XVI della Regula non bullata in cui si legge:


Dice il Signore: “Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi. Siate dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe”. Perciò tutti quei frati che per divina ispirazione vorranno andare tra i saraceni e altri infedeli, vadano con il permesso del loro ministro e servo. Il ministro poi dia loro il permesso e non li ostacoli, se vedrà che sono idonei ad essere mandati; infatti sarà tenuto a rendere ragione al Signore, se in questo o in altre cose avrà proceduto senza discrezione. I frati poi che vanno tra gli infedeli possono comportarsi spiritualmente in mezzo a loro in due modi. Un modo è che non facciano liti né dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani. L’ altro modo è che, quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio perché essi credano in Dio onnipotente Padre e Figlio e Spirito Santo, creatore di tutte le cose, e nel Figlio redentore e salvatore, e siano battezzati e si facciano cristiani, poiché, se uno non sarà rinato dall’ acqua e dallo Spirito Santo, non può entrare nel regno di Dio. Queste e altre cose, che piaceranno al Signore, possono dire ad essi e ad altri; poiché dice il Signore nel Vangelo: “Chi mi confesserà davanti agli uomini, anch’ io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli”; e “Chiunque si vergognerà di me e delle mie parole, anche il Figlio dell’ uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria sua e del Padre e degli angeli santi”. E tutti i frati, dovunque sono, si ricordino che hanno donato se stessi e hanno abbandonato i loro corpi al Signore nostro Gesù Cristo. E per il suo amore devono esporsi ai nemici sia visibili che invisibili, poiché dice il Signore: “Colui che perderà l’ anima sua per me, la salverà per la vita eterna”. “Beati quelli che soffrono persecuzioni a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi”. E: “Se poi vi perseguitano in una città, fuggite in un’ altra. Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e vi malediranno e vi perseguiteranno e vi bandiranno e vi insulteranno e il vostro nome sarà proscritto come infame e quando falsamente diranno di voi ogni male per causa mia; rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. E io dico a voi, miei amici: non lasciatevi spaventare da loro e non temete coloro che uccidono il corpo e dopo di ciò non possono far niente di più. Guardate di non turbarvi. Con la vostra pazienza infatti salverete le vostre anime. E chi persevererà sino alla fine, questi sarà salvo”


La prima parte è, abbastanza evidentemente, un appello rivolto ai frati, e ad essi soli, a mantenere un atteggiamento pacifico tra i musulmani, a sottoporsi loro come nella miglior tradizione francescana; la possibilità della predicazione non viene esclusa, ma solo quando ciò piaccia a Dio: il precetto rimane poco chiaro e, inevitabilmente, di facile strumentalizzazione. Di certo non vi è alcuna esortazione alla guerra.
Nella seconda parte alcuni storici hanno voluto leggere una volontà di martirio da parte di Francesco: in realtà più che un fanatico auspicio di morire per mano degli infedeli e in nome del Signore ci sembra di ravvisare in queste parole la consapevolezza del pericolo che potrebbe presentarsi. In tal caso l' invito è a non temere la morte, ad affrontarla coscienti che si verrà adeguatamente ricompensati nel regno dei cieli.
Possiamo parlare magari di un' enfasi eccessiva posta nell' esortare i frati a non temere la morte, ma non certo di una precisa ed auspicata volontà di martirio.
Conferma del fatto che questo passo non dovesse essere consono alla mentalità del tempo è il fatto che, nella redazione definitiva della regola, che prenderà il nome di Regula bullata perché confermata dal papa, tutto ciò che resta del capitolo XVI è:


Tutti quei frati che, per divina ispirazione, vorranno andare tra i saraceni e tra gli altri infedeli ne chiedano il permesso ai loro ministri provinciali. I ministri, poi non concedano a nessuno il permesso di andarvi, se non a quelli che vedranno idonei ad essere mandati.


La collaborazione tra Francesco, i frati e i giuristi della Chiesa porta ad elidere il messaggio centrale del precetto da seguire tra gli infedeli: è questo, più di ogni altra cosa, a confermare che il capitolo XVI non doveva essere gradito alla Santa Sede pur essendo rivolto, è bene ribadirlo, solo ed esclusivamente ai frati.
Alla luce di quanto emerso da questa veloce panoramica sulle fonti, ci sembra di poter affermare che il problema dell' atteggiamento di Francesco rispetto alla crociata non sia risolvibile affrontandolo semplicemente come un problema di pacifismo. Lo stile di vita del santo, le vicissitudini del capitolo XVI della Regula non bullata e l' episodio della visita al sultano ci sembrano rafforzare l' idea di Francesco quale assertore di convivenza pacifica tra gli uomini; pur supponendo, come abbiamo fatto sopra, che confidasse di riuscire a convertire gli infedeli e mirasse anch' egli alla riconquista dei Luoghi Santi, evidentemente il metodo scelto era diverso. La mancanza del santo, salvo futuri ritrovamenti che svelino ulteriore documentazione, rimane quella di aver taciuto di fronte alle nefandezze della guerra e di essersi mosso parallelamente alle direttive della Chiesa.
In definitiva, se è vero che la visita al sultano e le poche parole che il santo spende per istruire i frati sul comportamento che avrebbero dovuto tenere tra gli infedeli si inquadrano nell’ ideale di pace, amore e concordia che caratterizza la concezione cristiana di Francesco, altrettanto vero è che, vuoi per opportunità, vuoi per volontà di sottomissione a tutti e alla Chiesa in particolare, manca una condanna chiara ed univoca della crociata.
L’ appello, che può essere visto anche come critica trasversale alla Chiesa, rivolto agli uomini tutti con l’ esempio della visita al sultano e ai frati con le parole della Regula non bullata, a rivolgersi pacificamente e amorevolmente anche al nemico, finisce per essere troppo circoscritto, poco deciso, e per questo facilmente strumentalizzabile.

Giacomo Mario Ricchitelli













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