Recensione
al Convegno di archeologia subacquea, Anzio - Paradiso sul mare,
30-31 maggio- 1 giugno 1996
Il Comune di
Anzio ha ospitato nei giorni 30-31 Maggio e 1° Giugno 1996 il Convegno
di Archeologia Subacquea promosso dallA.I.A. SUB. (Associazione
Italiana di archeologi subacquei). I numerosi e stimolanti interventi
avvicendatisi nel corso delle tre intense giornate hanno offerto un interessante
panorama dei risultati fino ad ora conseguiti nel campo dellarcheologia
sottomarina. Lincontro di Anzio, che non è stato solo una rassegna
di contributi scientifici, ha offerto loccasione di affrontare problematiche
di carattere più generale relative sia a questioni di metodo dello scavo
subacqueo, sia alla tutela del patrimonio archeologico sommerso.
In questa sede appunteremo lattenzione sulle comunicazioni aventi
come oggetto testimonianze di età post-classica o problemi di carattere
metodologico. Per gli altri interventi si rimanda volentieri agli atti
di prossima pubblicazione. Tuttaltro che monotono il quadro delle
tematiche illustrate. Lungi dallappuntarsi caparbiamente sullanalisi
dei reperti sottratti al mare, lattenzione dei convegnisti è stata
rivolta a tempi più ampi e articolati, quali la ricostruzione delle rotte
e il tipo di imbarcazioni usate nellantichità. Su questo secondo
argomento è intervenuto S. Medas con la relazione intitolata Imbarcazioni
monossili: letteratura antica e archeologia, riferendo che dette
imbarcazioni potevano attraversare fiumi e laghi con laiuto delle
pagaie, nonché il mare grazie allarmamento velico. Avvalendosi di
una lettura attenta e scrupolosa delle fonti letterarie antiche, lo studioso
ha concluso che luso delle imbarcazioni monossili da età remota
si protrasse fino ad età moderna. Il relatore ha sottolineato in modo
particolare la continuità tecnica e culturale della cantieristica navale.
Riconducibile ad un ambito metodologico il contributo dal titolo Distribuzione
dei reperti e riconoscimento dei processi formativi del relitto
di C. Beltrame, in cui viene messo in luce un errore purtroppo frequente
nellarcheologia subacquea, quello cioè di valutare il reperto per
il proprio valore intrinseco senza tener conto del contesto di appartenenza.
Lautore sottolinea limportanza di risalire, attraverso un
attento scavo e unadeguata lettura dei dati, alle cause e alle dinamiche
dei naufragi, lamentando limperdonabile disattenzione riguardo ai
processi formativi del relitto. Le cause sarebbero ravvisabili sia in
una inveterata tradizione di archeologi poco aperti ai dibattiti metodologici
e nel discutibile metodo con cui sono stati condotti alcuni scavi. Si
rivelano perciò imprescindibili lesecuzione di attenti rilevamenti
e la rigorosa applicazione del metodo stratigrafico.
Particolarmente incisivo è stato anche lintervento di G. Volpe intitolato
Dieci anni di ricerca a Hyères in Provenza preparato con L.
Long, in cui si dà un ampio e dettagliato quadro dei rinvenimenti in Provenza.
Le indagini, effettuate grazie agli sforzi congiunti del Dipartimento
di Studi Classici e Cristiani dellUniversità di Bari e del DRASSM
(Départment des recherches archéologiques sub-aquatiques et sous-marines
de Marseille), hanno consentito lo scavo di ben sei relitti, uno dei quali
è relativo ad una nave oneraria ascrivile al VI sec. D.C.. Singolare è
il ritrovamento di una cassetta lignea con bilancina di precisione e un
peso di Giustino II.
Il relatore ha inoltre riferito che le ricerche nelle acque della Provenza
sono condotte nellambito di un cantiere scuola, situazione, questa,
purtroppo non frequente negli scavi subacquei. Volpe non ha esitato a
rimarcare giustamente che nellorganizzazione dei cantieri subacquei
allaspetto didattico non è riservato il dovuto spazio.
Strettamente legato invece alla cultura materiale è apparso lintervento
di S. Bargagliotti intitolato Vasi per la pesca del polpo,
in cui il relatore sulla base di confronti suggerirebbe una datazione
altomedievale per un particolare gruppo di vasi destinati forse alla pesca
del polpo.
È riconducibile ad un ambito cronologico decisamente più tardo, cioè lo
scorcio del XV sec., lintervento di R. Silvetti e di V. Gavini (CRASA
- Centro Ricerche Archeosub Sassari Alghero) intitolato Ricerche
subacquee nella Sardegna nord-occidentale (1992/95) che ha riguardato
lo scavo del relitto B individuato lungo il litorale di Alghero
(SS). Tra i materiali ivi rinvenuti sono stati segnalati alcuni campioni
di stoffa allinterno di un contenitore di tela grezza e bottoni
in osso rivestiti in tessuto. Per quanto concerne invece i manufatti ceramici,
alcuni sono costituiti da brocchette invetriate, altri sono ascrivibili
alla slip-ware.
Un felice esito del connubio tra archeologia ed informatica è rappresentato
dalla Carta archeologica informatizzata, ideata da M. DAgostino
e da L. Fozzati (STAS). Nellintervento dal titolo Venezia:
territorio sommerso e tutela si sottolinea che il suddetto lavoro,
che ha riguardato i siti sommersi della laguna veneta, è il primo in assoluto
nel campo dellarcheologia subacquea. Evidenti i vantaggi offerti
dallutilizzo dei sistemi informatici nella raccolta e nellelaborazione
dei dati emersi dalla ricerca sul territorio, dati poi accessibili in
tempi veloci.
Conclusasi la rassegna delle comunicazioni, in ricordo del ventesimo anniversario
della scomparsa di N. Lamboglia è stato presentato un corto metraggio
sulle indagini condotte dal medesimo come direttore del Centro Sperimentale
di Albenga. F. Pallarés ha ricordato con emozione la figura di questo
grande studioso che nella sua instancabile attività mostrò unattenzione
particolare nellaffrontare i problemi legati alla ricerca archeologica
subacquea. Il Convegno è stato suggellato da una tavola tra i convegnisti
ed alcuni giornalisti. In tale sede P.A. Gianfrotta non ha risparmiato
critiche, seppure ironiche, riguardo al modo con cui certa stampa segnala
i ritrovamenti archeologici, enfatizzando il loro valore intrinseco a
discapito del loro interesse storico-culturale. Del resto le passate esperienze
hanno mostrato come questo possa contribuire ad incoraggiare iniziative
individuali mosse da interessi tuttaltro che scientifici.
Auspicabile, dunque, una maggior consapevolezza, non solo da parte degli
specialisti del settore, ma anche da parte del grande pubblico, della
necessità di difendere e salvaguardare il patrimonio archeologico sommerso
ormai da troppo tempo esposto alle insidie dei suoi violatori.
Elisabetta Garau
|