La paleopatologia:
una importante fonte per gli studi medievistici (recensione del Seminario
di Storia della Medicina, Univ. degli studi di Roma"La Sapienza"
, Maggio-Giugno 1996)
Il Dipartimento
di Medicina Sperimentale e Patologia dell Università La Sapienza
di Roma ha recentemente organizzato una serie di seminari di approfondimento
delle tematiche di Storia della Medicina. E stata una nuova occasione
per affrontare, insieme ad alcune discussioni di carattere eminentemente
storico, la complessa problematica della qualità della vita nelle popolazioni
antiche, dellincidenza delle malattie, confrontando metodi diversi,
discipline apparentemente molto distanti fra loro, come la paleopatologia,
l urbanistica antica, la storia e la filosofia. Appare sempre più
evidente la necessità di coinvolgere un insieme di materie sia per capire
in quale modo si affrontava e si viveva la malattia nelle
popolazioni del passato, sia per comprendere gli aspetti più complessivi
della vita sociale degli individui: la presenza o lassenza di patologie
specifiche, il loro impatto sulla speranza di vita, sulla sua qualità,
sulletà di morte di individui o gruppi di persone. Linteresse
che gli studi sulla società medievale dimostrano verso questi fondamentali
aspetti è stato fino a qualche anno fa abbastanza marginale: non sono
mancati grandi studi complessivi su contagi e grandi epidemie che, più
nellimmaginario collettivo che nella effettiva realtà si ritiene
contraddistinguessero lEuropa medievale rispetto ad altre epoche.
Eppure proprio i resti antropologici, considerati ormai anche come preziose
fonti archeologiche, possono permetterci di affrontare nuovi aspetti della
vita delle popolazioni medievali.
Gli studi paleopatologici offrono una serie di informazioni molto significative:
se linteresse di medici e biologi si attesta, giustamente, sulla
possibilità di ricavare modelli di diffusione e di presenza di alcune
malattie, e forse persino a ricercare elementi utili al loro contrasto,
per chi si occupa di storia e archeologia lapporto di queste analisi
rappresenta forse uno degli unici elementi per affrontare alcune questioni
tuttora praticamente irrisolte.
Da diversi anni, comunque, i punti di contatto tra paleopatologi e studiosi
della società medievale stanno subendo una formidabile accelerazione:
non si può forse ancora parlare di una costante opera di collaborazione
e divulgazione, ma si è stabilizzata un interessante e frequente intreccio
tra paleopatologi, antropologi, archeologi e storici del medioevo, che
certamente presto offrirà nuovi spunti e forse permetterà di avanzare
letture del mondo medievale più legate allambiente sociale: tenendo
conto della frequente esiguità dei rinvenimenti spesso si tratterà di
realtà relative a individui o a gruppi relativamente circoscritti, ma
sarà sempre comunque legata a dati scientifici che non è possibile non
considerare.
Uno dei temi
più importanti che è stato affrontato nel corso dei seminari, svoltisi
tra il 17 maggio e il 7 giugno del 1996, è stato quella della presenza
e della diffusione del tumore nellantichità. Ne ha parlato G. Fornaciari,
docente dellUniversità di Pisa, senza dubbio uno dei maggiori studiosi
mondiali di paleopatologia.
Il tema, aldilà dellinteresse specifico che coinvolge soprattutto
i medici e i biologi, riguarda diversi aspetti della vita del passato.
Esistono a tuttoggi due diverse posizioni: cè, soprattutto
tra gli studiosi statunitensi, chi sostiene che il tumore praticamente
non fosse presente se non in un minimo di casi; ed esistono invece altri
studiosi, dellEuropa orientale, che ritengono che, nonostante una
minore frequenza rispetto ad oggi, il tumore conoscesse una certa diffusione.
Ora bisogna premettere che il cancro ha una diffusione nelle società contemporanee
purtroppo molto alta: si tratta di percentuali allincirca del 20
%. Almeno 1/4 di queste patologie comportano una lesione scheletrica,
quindi archeologicamente rintracciabile, almeno teoricamente, nelle sepolture
di popolazioni del passato. Ebbene, nelle necropoli antiche non si raggiungono
affatto percentuali simili (cioè almeno del 5 %); lincidenza dei
tumori raggiunge a fatica e solo in taluni casi l 1% degli individui
deposti.
Ciò indicherebbe con una certa evidenza la marginalità del tumore come
causa di morte: come è possibile spiegare questa situazione ? Esistono
due spiegazioni per questo fenomeno: il cancro colpisce, in genere, le
persone anziane. Se letà media delle popolazioni antiche era bassa
- come sembra - ecco spiegata la sua scarsa presenza. Ma va considerato
anche un altro aspetto : la minore presenza di cancerogeni chimici nellambiente
nel passato rispetto ad oggi. La società contemporanea inoltre, per la
facilità dei viaggi intercontinentali, la circolazione degli oggetti e
dei cibi su scala planetaria, è costantemente a contatto con malattie
infettive - da cui lo stimolo antigenico, corresponsabile della nascita
di alcuni tipi di tumore -; cosa che certamente avveniva in misura decisamente
inferiore tra le popolazioni antiche.
Il Prof. Fornaciari
ha inoltre illustrato una serie di studi realizzati su mummie medievali,
le sepolture della corte aragonese a Napoli, dove alcuni corpi si sono
conservati in modo tale da poter di rilevare, in due importanti casi,
nei tumori la causa di morte degli individui.
Attualmente infatti parte degli studi paleopatologici si orienta verso
lo studio dei corpi mummificati che consentono, anche con le moderne analisi
di biologia molecolare, di ricavare una enorme mole di informazioni riguardo
le malattie diffuse nei secoli passati.
Gli interrogativi che partono da questa circoscritta analisi della presenza
dei tumori non sono affatto secondari: è proprio vero che letà media
- o meglio la speranza individuale di vita - era così bassa
? Si possono individuare differenze a seconda delle epoche ? Il livello
di vulnerabilità ad alcuni tipi di malattie era lo stesso delle società
contemporanee ? Quale era il grado di contrasto medico, sociale e ambientale
nei confronti di alcune malattie ?
Lo studio sulla
presenza del tumore tra le popolazioni antiche non è che una delle varie
possibilità offertaci dalle analisi paleopatologiche. Il campo di applicazione
di questa disciplina, soprattutto quando si prendono in esame consistenti
gruppi di individui, è molto esteso: si va dal tipo di dieta alimentare
alle patologie carenziali, dalla diffusione di malattie ambientali
come la malaria agli episodi di avvelenamento collettivo come quello,
molto noto, che colpì le classi elevate tardoantiche noto come saturnismo
(avvelenamento da piombo). Se si accompagnano questi studi con quelli
più classicamente antropologici, riguardanti stature, elementi
di differenziazione etnica - quando è possibile e utile ricercarli - diagnosi
di età alla morte e di dimorfismo sessuale (solo per fare qualche esempio)
ecco che le informazioni che investono direttamente il campo degli studi
archeologici e storici si allarga notevolmente.
Consolidate idee possono essere messe in discussione e nuovi spazi diventano
improvvisamente aperti alla ricerca scientifica. Se è vero che da tempo
ormai le analisi antropologiche fanno parte degli scavi archeologici è
anche giusto sottolineare che in molti casi esiste una certa incomunicabilità
tra ricercatori dei diversi settori; interessi diversi e, soprattutto,
le richieste di indagine che ci si fa vicendevolmente sono spesso poco
chiare, e ciò porta in qualche caso a conclusioni non del tutto valide,
con presupposti storici molto discutibili o influenzate da antichi e solidi
pregiudizi.
Quella medievale è una delle società dellantichità più vulnerabili
da questultimo punto di vista; la carenza di fonti scritte e archeologiche
riguardo alcuni aspetti fondamentali della vita degli uomini medievali,
si potrebbe superare attraverso le informazioni desumibili dalle analisi
antropologiche e paleopatologiche; ciò anche per cancellare antichi pregiudizi
o opinioni fondate solamente su studi storici che nella loro inevitabile
necessità di sintesi non hanno potuto, naturalmente, chiarire i molteplici
aspetti di una società frammentata e allo stesso tempo fortemente coesa
culturalmente come quella dellEuropa medievale.
Il Seminario di Storia della Medicina che si è recentemente tenuto, soprattutto
grazie alla presenza del prof. Fornaciari, ha dimostrato che in questa
direzione i risultati che si possono ottenere, partendo sempre da inquadramenti
storici efficaci, sono di grande interesse e promettono un sicuro sviluppo.
Fabio Giovannini
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