PAESAGGIO
URBANO E PAESAGGIO RURALE
Leptis
Magna. Tra Tardo Antico e invasione islamica
Nellestate
del 1920 cominciarono gli scavi di Leptis Magna, legati al nome di Pietro
Romanelli, Renato Bartoccini, Giacomo Guidi e Giacomo Caputo, che guidarono
la Sovrintendenza ai Monumenti della Libia nel periodo di occupazione
italiana. Riportarono alla luce le vestigia di una splendida città, da
secoli sepolta e per certi versi protetta, sotto migliaia di metri cubi
di sabbia e strati alluvionali 1. Ma anche nel dopoguerra gli scavi e
le esplorazioni continuarono sia sotto legida di missioni archeologiche
italiane sia ad opera di studiosi inglesi e francesi. Ancora oggi gran
parte dellabitato e del grandioso centro monumentale restano da
indagare, destando linteresse scientifico di numerose missioni archeologiche
che a tuttoggi conducono scavi e surveys nella città libica (risale
ai mesi di aprile e maggio lultima campagna di scavi diretta dalla
prof . ssa Luisa Musso della Terza Università di Roma ) 2.
I più antichi ritrovamenti risalgono alla fine del VII secolo a.C., anche
se la tradizione attesta la fondazione della città ad una iniziativa di
Tiro o Sidone, nellambito della colonizzazione fenicia, allinizio
del primo millennio, grazie alla sua posizione strategica sul mare , e
al suo ampio porto naturale. Leptis Magna deve il suo nome 3 alla trascrizione
latina del toponimo punico Lbqy o Lpqy, che apparteneva
anche ad una città, situata nellodierna Tunisia (si tratta di Lamta),
che veniva distinta con laggettivo Minor. Tributaria di Cartagine,
con la sconfitta di questa nelle guerre puniche (146 a.C.) entrò a far
parte del Regno di Numidia sotto il governo di Micipsa, figlio di Massinissa.
Nel corso del lungo scontro tra il Senato Romano e Giugurta, Leptis si
schierò dalla parte di Quinto Metello (108 a.C.), divenendo socia et
amica di Roma. Conobbe uno sviluppo urbanistico notevole nel periodo
Augusteo e fu elevata da Traiano al rango di colonia. Di straordinaria
bellezza sono anche i monumenti fatti costruire da alcuni nobili Leptitani
al tempo di Adriano. E importante, infatti, sottolineare che non
si conoscono vere e proprie committenze imperiali prima della fine del
II secolo. Tutti gli interventi di monumentalizzazione erano affidati
alliniziativa di privati cittadini o di alti dignitari in rappresentanza
del Princeps.
Nel 193 d.C. Leptis Magna ottenne lo ius italicum dal più illustre
dei suoi figli: Settimio Severo. Sotto il principato dei Severi la città
raggiunse il suo massimo splendore: basti pensare alla grandiosa Via colonnata
che fiancheggiava il Foro munita di una corsia centrale larga più di 20
metri, adibita al traffico dei carri e fiancheggiata da due ampie corsie
laterali porticate e aperte sul passaggio centrale. Per non parlare del
Forum Novum , con la famosa Basilica, su cui torneremo presto nella
nostra rapida rassegna.
Il tempio dedicato alla Gens Septimia, fino ad arrivare alleccezionale
tetrapylon , il vasto porto e il circo, tutti monumenti di firma
severiana che meriterebbero una trattazione di maggiore riguardo. Grazie
a questi interventi, è stato detto, Leptis Magna ottenne una fisionomia
del tutto particolare che la distingue nettamente dalle altre città dellAfrica
e lavvicina alle grandi metropoli dellOriente ellenistico
e romano.
Ma ciò che più preme, in questa sede, è parlare delle labili tracce delledilizia
cristiana, in particolare durante la breve fase di occupazione bizantina
che trasformò il volto della gloriosa città leptitana. Infatti dopo la
grave crisi di IV secolo culminata con linvasione Austuriana, Leptis
fu duramente provata dalle invasioni berbere e vandaliche 4 (455 d.C.
circa), e quando fu occupata dagli eserciti bizantini, nella fase di ripresa
giustinianea intorno alla prima metà del VI secolo, godette di una nuova
fioritura 5. Bisogna però ricordare che la città, al momento della riconquista
da parte degli epigoni dellImpero Romano, era in larga misura abbandonata
e ricoperta dal deserto 6. Per questa ragione il perimetro delle mura,
costruite a metà circa del III secolo 7, fu notevolmente ristretto dalle
milizie giustinianee fino a racchiudere una superficie pari a quasi un
terzo dellestensione originale 8, comprendente la zona del Foro
Vecchio, il Foro e il Ninfeo severiani, il Porto . Lunico tratto
di mura reimpiegato dagli architetti bizantini, sembra essere quello che
si affacciava al mare 9. Altrove le mura furono interamente costruite
dalle fondamenta, fatta eccezione delle strutture di cinta del Foro Severiano
e di pochi altri edifici preesistenti, inglobati abilmente nel nuovo circuito
murario. Furono invece utilizzate come ridotte, durante loccupazione
bizantina, alcune notevoli costruzioni risparmiate dallinvasione
vandalica ed esterne allarea compresa dalle nuove difese, come sembrano
dimostrare gli scavi condotti da Caputo nella zona del Teatro e alcuni
muri del Mercato.
Ciò che più caratterizza le difese bizantine è la tecnica di costruzione,
notevolmente più accurata nellesecuzione rispetto alle mura di Gallieno,
seppure riutilizzando blocchi di monumenti circostanti ormai abbandonati,
la cui selezione era comunque molto accurata.
Si tratta di mura molto più solide, costruite con pietre ben tagliate,
legate da una malta assai tenace, composta in larga parte di conchiglie
tritate. Immediatamente a sud del Foro Vecchio si apriva un portale di
incredibile interesse . Esenza ombra di dubbio uno dei monumenti
più considerevoli di Leptis Magna. Scavato da Bartoccini nel 1925 10,
è costruito con blocchi di pietra di riutilizzo, tutti di una misura vicina
ai 50 cm.; lapertura è fiancheggiata da due torri rettangolari,
accessibili dalla parte interna della città attraverso due passaggi ad
arco . Una scalinata in pietra, costruita contro il muro di cinta, serviva
i camminamenti superiori. Il Portale appena descritto trova confronti
di rilievo nelle Porte di Madaura e Theveste, edificate nello stesso periodo,
ma anche nelle porte di Fortilizi, sempre in terra dAfrica, quali
Tobna e Timgad 11.
Subito dopo la riconquista delle Province dAfrica, Giustiniano affidò
il controllo della Tripolitania a Sergio con il titolo di Dux,
il quale si insediò, secondo quanto afferma Procopio di Cesarea, proprio
a Leptis 12. Probabilmente il luogo prescelto per lacquartieramento
delle truppe e del Dux fu il Forum Novum Severiano. Infatti
alcuni interventi ai lati del Tempio della Gens Septimia, come
la creazione di nuove entrate sul muro di cinta e il tamponamento di alcune
strutture per il nuovo utilizzo, testimoniano la risistemazione dellarea
. Inoltre, le tabernae laterali, tra il Foro e la Via colonnata,
sono costruite su 60-80 cm di deposito 13, formato dalle rovine di alcuni
muri dello stesso Foro, abbandonato con loccupazione vandalica .
Il cristianesimo deve essere arrivato in Tripolitania attraverso la mediazione
della Cirenaica, dove era forte la presenza di potenti comunità ebraiche
14. Il primo Vescovo conosciuto era infatti un certo Archaeus, il quale
diffondeva il Vangelo nella città di Leptis Magna intorno agli ultimi
anni del II secolo 15. Il suo nome appartiene probabilmente ad uno straniero.
Al concilio di Cartagine del 411, in cui si segnarono tra laltro
le sorti del grande Scisma Donatista, partecipò anche il Vescovo di Leptis,
che, insieme al Vescovo di Oea (l odierna Tripoli), si proclamò
in favore della separazione dalla liturgia cattolica, a differenza del
loro collega di Sabratha 16. Il donatismo, seppure condannato dalle proscrizioni
imperiali e da numerosi padri della Chiesa, tra i quali anche Agostino,
continuò vivacemente anche dopo la morte di Donato (355 d..C.), e dopo
violentissimi scontri fu infine tollerato. Ricordiamo a questo proposito
i gruppi di braccianti nordafricani conosciuti come circoncellioni. Il
loro nome in realtà era, allinterno del movimento donatista, Agonistici
(milites Christi); rappresentavano, con il loro fanatismo e rigorismo
morale, il braccio armato del movimento scismatico. Si trattava di contadini
oppressi, che rivendicavano migliori condizioni economiche e sgravi fiscali
al potere costituito 17. Furono in larga parte sterminati dalla campagna
africana di Costante nel 347-359. La chiesa donatista continuò ad operare
in alcune regioni del Nord Africa fino allinvasione islamica ed
in Numidia sono attestate comunità donatiste fino al 722 18.
Il monumento più rappresentativo delledilizia cristiana in Leptis
Magna è, a nostro avviso, la Chiesa che lImperatore Giustiniano
installò nel corpo della Basilica Severiana 19, dedicandola alla Theotokos
. La notizia ci è tramandata da Procopio nel suo libro De Aedificiis
20. Si trattava in origine di un edificio a tre navate, con gallerie sopra
le navi laterali e un abside al centro di ciascun lato breve della navata
mediana 21. Ad ogni angolo della basilica trovavano posto piccoli ambienti
rettangolari da cui si accedeva, attraverso una rampa di scale, alle gallerie
soprastanti ; questi ambienti comunicavano tra loro attraverso stretti
corridoi ricavati tra labside e il muro esterno.
Ledificio doveva essere praticamente intatto al momento della sua
conversione in Chiesa, che non apportò modifiche strutturali di rilievo.
Fu riutilizzata solamente una delle due absidi, quella meridionale , mentre
labside nord, in disuso, fu spogliata del rivestimento marmoreo
22. Doveva essere splendido infatti lapparato decorativo della originaria
basilica, tra cui spiccano, ancora al loro posto, i pilastri scolpiti
da artisti provenienti da Afrodisia di Caria . Labside sud, utilizzata
come area presbiteriale, rialzata dal pavimento della basilica di 80 cm.
circa, fu proiettata, con una piattaforma della stessa altezza, allinterno
della navata centrale. Vi trova posto un recinto presbiteriale, formato
da sei piedistalli recuperati dallabside nord; ai lati di un modesto
varco centrale furono alloggiati quattro pilastrini scolpiti provenienti
probabilmente dal Tetrapylon severiano. Il monumento, situato allesterno
della città bizantina, doveva essere quasi interamente coperto dalla sabbia
e completamente abbandonato. Lapertura centrale del recinto presbiteriale,
che consisteva in un architrave marmoreo sorretto da due sostegni in cipollino,
conduceva direttamente alla navata centrale e al pulpito. Laltare
non è conservato, ma si doveva trovare al centro dellarea absidale
dove ne rimane a testimonianza una lastra marmorea ben inserita al centro
della pavimentazione. Le nicchie ricavate nella ciicanferenza absidale
furono riadattate, mediante luso di gradini, in seggi dove prendeva
posto il clero officiante. Immediatamente davanti alla piattaforma presbiteriale
ci si imbatte nel pulpito, una struttura composta interamente da blocchi
marmorei di recupero . Due rampe di scale conducevano al piano da cui
il sacerdote parlava ai fedeli, composto da due capitelli angolari spogliati
dallarco severiano e supportati da colonnine di marmo. Difficile
dire quali trasformazioni abbiano subito le cappelle angolari,
poichè gli scavi hanno completamente asportato tutto ciò che vi si era
depositato dentro. Sappiamo dagli appunti di scavo che si erano accumulati
dagli 80 ai 130 cm. di detriti, come testimonia anche la vasca battesimale
ricavata nellambiente nord occidentale. Si tratta di un tipico fonte
cruciforme di VI secolo, concepito per rito ad immersione.
Una seconda chiesa, riportata alla luce negli anni 1925-6 dagli scavi
del Bartoccini 23, con battistero associato, si trova nel Forum Vetus
. Fu costruita sfruttando il podio di un tempio della fine del I secolo
d.C. erroneamente attribuito al culto della Magna Mater dallarcheologo
italiano. Dellantico tempio pagano non rimane in piedi alcun elemento
dellalzato.
Ledificio cristiano, di forma rettangolare, ha un tipico impianto
basilicale a tre navi separate da arcate longitudinali, con una sola abside
semicircolare internamente rettilinea allesterno con orientamento
nord-est . Nel lato opposto allarea presbiteriale trova posto un
nartece, mentre sul fianco sinistro del corpo centrale si apre un ambiente
con una scala di servizio che doveva raggiungere il piano superiore. Si
poteva accedere alledificio attraverso cinque porte, due ai lati
dellabside ed una su ciascun lato rimanente. Interamente costruita
con blocchi di riutilizzo, la struttura era ben apprestata nella cortina
esterna, mentre il paramento interno, che doveva essere intonacato e probabilmente
affrescato, sembra meno accurato.
La navata mediana è divisa in cinque campate. La centrale è più larga
delle altre e poteva essere coperta da una cupola. Bisogna però dire che
il ritrovamento di un blocco cruciforme, decorato con una croce greca
a rilievo, non esclude la possibilità di una copertura con volta a crociera.
Le restanti campate erano infine coperte da volte a botte, sostenute da
costoloni trasversi che poggiavano su colonne binate . Queste ultime,
ricavate da blocchi di granito grigio corso, poggiano su basi in marmo
grigio scuro, come i capitelli corinzi posti a loro coronamento. E
molto interessante la somiglianza di questi elementi con quelli utilizzati
nel restauro costantiniano della Basilica Vetus, dalla quale potrebbero
essere stati recuperati. Larea presbiteriale era, anche in questo
caso, rialzata dal piano pavimentale, posta su una piattaforma cui si
accedeva tramite scalini e chiusa dalla curva absidale. Al centro di questa
piattaforma rimangono le quattro basi di un canopio a testimoniare la
presenza dellaltare. Una cattedra doveva trovarsi invece nel centro
dellabside, dove rimangono le tracce di un supporto in pietra.
Il nartece, costruito sopra una strada precedente che doveva servire il
tempio su cui si imposta ledificio cristiano, insieme alla Sagrestia
furono aggiunti al corpo principale della chiesa in un secondo momento,
anche se non è possibile fornire una datazione precisa 24. Entrambi gli
edifici sono voltati e costruiti con lo stesso materiale di riutilizzo
della chiesa.
Il Battistero si trova a 30 metri di distanza dallabside del complesso,
al centro dellarea pavimentata del Foro Vecchio. Si tratta di un
recinto aperto con un fonte cruciforme al centro, anchesso concepito
per rito ad immersione. Ledificio è databile al VI secolo sia per
la tipica forma del suo fonte , sia per la caratteristica malta, composta
da conchiglie tritate, che lega i muri laterali della struttura e firma
gli interventi giustinianei. Non è altrettanto facile collocare cronologicamente
la chiesa. Goodchild e Ward Perkins 25 propongono una datazione alla prima
metà del V secolo, in base alla presenza di sepolture nellarea intorno
alla porta dingresso della navata sinistra. Queste sepolture, mai
indagate, secondo i due studiosi inglesi, sono pre-bizantine, poichè ritengono
difficile la presenza di tombe in area abitata nei primi anni della rioccupazione
giustinianea. Anche la tecnica costruttiva così diversa da quella dellantistante
battistero fa propendere per una datazione delledificio al periodo
precedente linvasione vandalica.
Una terza chiesa si trova nei pressi della via colonnata severiana . Gli
scavi cominciarono sotto la direzione di Caputo ma furono interrotti dalla
guerra. Il sito è ora quasi interamente sepolto a causa di una grave alluvione
avvenuta nel 1945.
Si tratta di un complesso formato da tre gruppi di strutture connesse:
una piccola basilica a tre navate con una sola abside al centro della
navata mediana, fiancheggiata da due cappelle laterali; sul lato nord-orientale
è disposta una serie di ambienti tra i quali trova posto un battistero,
mentre a sud ovest unampia corte destinata ad uso cimiteriale. Lintera
costruzione è costituita da blocchi in arenaria di riutilizzo ed in parte
ingloba strutture preesistenti . Le navate erano separate da colonne coronate
da capitelli ionici, anchessi di reimpiego, che dovevano sostenere
delle arcate longitudinali. Rimane in piedi un pulpito, simile a quello
della basilica severiana, e alcune tracce di finimenti dellinterno
della chiesa, come una piastrella nel muro nord-occidentale con una croce
rossa dipinta su campo bianco, fiancheggiata da un alpha e da un omega
alle estremità dei due bracci .
Allangolo est della navata sinistra si apre una porta che conduce
al battistero quadrato. Al centro di questo ambiente è disposto un fonte
cruciforme, con un bacino centrale per il rito ad immersione, cui si accede
tramite scalini dai quattro lati. Altre camere si aprono sullo stesso
lato della navata, ma sono ancora da scavare completamente. Grazie a questi
elementi è possibile datare la chiesa al VI secolo. Si tratta probabilmente
di una delle quattro chiese fatte costruire da Giustiniano a Leptis26.
Un altro edificio cristiano, probabilmente un battistero, è stato individuato
nei pressi del Porto Severiano, di fronte alla scalinata del tempio di
Giove Dolicheno . In gran parte sepolto dallinondazione del 45,
non è oggi possibile ammirarlo. Si trattava comunque di una struttura
molto semplice, con una pianta irregolare, terminata da unesedra
rettangolare dal lato opposto dellingresso, servito da una serie
di scalini.
Per quanto riguarda le testimonianze cristiane a Leptis, rimane da parlare
di alcuni blocchi scolpiti trovati dal Bartoccini nel2327 durante
una pulizia superficiale dellarea intorno al molo est del porto,
nei pressi del piccolo tempio severiano che fu forse trasformato in chiesa.
Un ultimo edificio cristiano è stato individuato nelle vicinanze del Chalcidicon
, nellinsula n.8 della III Regione.Si tratta di un ambiente
che si affaccia sulla strada, il cui interno non è stato ancora scavato;
lentrata, liberata dalle macerie, è fiancheggiata da due colonne
in cipollino, su cui sono incise croci e uccelli di chiara simbologia
cristiana.
Le fonti arabe della conquista della Tripolitania, cominciata a partire
dal 643 (22 AH) e condotta da Amr Ibn al As, non fanno menzione
di Leptis Magna 28. Probabilmente la città era già caduta in rovina a
causa degli assalti dei Lawatani, per rivalsa del massacro compiuto dal
Dux Sergius nel 544 29.
El Bekri, che visse tra il 1028 e il 1094, in una sua descrizione dellAfrica
settentrionale ci informa che la città si era ridotta a poco più di un
castello che ospitava un migliaio di cavalieri arabi 30.
Al Idrisi, che scriveva nel XII secolo, racconta invece come Leptis Magna,
così prospera un tempo, dovette il suo declino e la sua fine agli arabi.
Scrive inoltre: Non restano più che due castelli degni di nota,
dove i Berberi della tribù di Houwara hanno stabilito la loro residenza.
A parte questi castelli, è possibile vedere, a Labda, un Forte, grande
e popoloso, sulle rive del mare. Ci sono anche altre costruzioni e vi
si tiene un mercato abbastanza frequente 31.
El Abdani, nel XIII secolo, dice che la città era caduta in rovina. Nelle
vicinanze vivevano alcune tribù arabe, negli gsur (castelli) di
Ras el Hammam, costruito da Emir Sulaym, tra il 1080 e il 1099, sulle
rovine di un edificio romano (probabilmente un avamposto difensivo), e
Merkeb 32, situato sulla costa a pochi chilometri da Leptis.
Levidenza archeologica conferma il dato storico. Infatti le tracce
di una frequentazione araba, allinterno della città, sono assai
modeste. Alcune strutture di questo periodo sono state identificate da
Caputo prima della guerra nella Piazza Severiana. Altri rinvenimenti sporadici
sono stati effettuati nei pressi della Porta Bizantina e nelle vicinanze
del Tempio Flavio. Quest area, per la sua posizione tra il Forum
Vetus e il porto, dovette rimanere in qualche modo in funzione. Gli scavi
della Missione Archeologica dellUniversità di Perugia, condotti
da Enrica Fiandra dal 1964 al 1968 nellarea del Tempio Flavio, che
peraltro fu esclusa dalla ristrutturazione giustinianea, hanno indagato
strati posteriori al IV secolo 33. Uno dei più superficiali è databile
al IX secolo. Infatti al suo interno è stata trovata una moneta della
dinastia Aghlabita (800-909 d.C.) e ceramica di probabile produzione islamica,
ancora in corso di studio.
La sabbia e le alluvioni del Wadi Lebda con il tempo ricoprirono lantica,
splendida città. I suoi marmi furono trasportati nei palazzi dei nuovi
potenti monarchi occidentali, nella Londra e nella Versailles delletà
dei lumi .
1 R.G.Goodchild,
in Fasti Archaeologici I, 1946 ( 1948 ), 2072 .
2 Hanno preso parte alla spedizione, oltre chi scrive, gli archeologi
Fabrizio Felici, Sergio Fontana, Massimiliano Munzi, 3 Massimo Pentiricci,
lantropologo Licia Usai e larchitetto Niccolo Masturzo
.
3 Nelle iscrizioni locali si utilizzava il nome Lepcis . Si pronunciava
però Lepchis e fu trasformato nei testi letterari greci e latini in Leptis
.
4 Ch. Courtis, Les Vandales et lAfrique, Paris, 1955 .
5 Procopio di Cesarea, De aedificiis, VI,4, 1-5 .
6 Afferma , infatti, Procopio che la città , un tempo di grandi
dimensioni e popolosa, divenne per larga parte deserta (póliV¼mega´lh
me`n kai` polua´nqropoV tò palaiòn oûsa , e´rhmoV de` crónwu´steron
gegenhme´nh ek tou epi` pleiston).
7 Eugenio Manni, LImpero di Gallieno, Roma, 1949, p.58 .
Lo studioso assegna le fortificazioni di III secolo allintervento
dellImperatore Gallieno, anche in base alla lettura di una iscrizione
contenuta in un blocco di pietra rinvenuto da Aurigemma nel 1914, ad una
trentina di metri di distanza dal Mausoleo di Gasr Shaddad,dedicata a
Valeriano figlio dellimperatore . Dobbiamo, a questo proposito,
tenere a mente, che in onore della moglie di Gallieno, Leptis e i sui
cittadini portarono il titolo di Saloninani, come ricorda in un suo contributo
R.G.Goodchild, "Recent exploration and discoveries in Tripolitania",
Reports and Monographs of the Department of Antiquities in Triplitania
II, 1949, pp.39-41 .
8 R.G.Goodchild - J.B. Ward Perkin, "The Roman and Bizantine defences
of Lepcis Magna", in Papers of the British School at Rome
, n. s. 8, 1953, pp.42-73 ; E.Zanini, Introduzione allarcheologia
bizantina, Urbino, 1995, pp. 194-95 .
9 R.G.Goodchild - J.B. Ward Perkin, The Roman ...,cit., p.55 .
10 R. Bartoccini, "Il recinto Giustinianeo di Leptis Magna",
Rivista della Tripolitania, II, 1925, pp. 63-72 .
11 S.Gsell, Monuments de lAlgerie, II, 1901, pp. 344-84 ;
D.G.Pringle, "The defences of Byzantine Africa from Justinian to
the Arab conquest", British Archaeological Reports ( IS 99
), Oxfrd, 1981 .
12 Codex Iust. I, 27, 2, I : Sancimus itaque, ut Dux limitis Triplitanae
Prvinciae in Lrptimagnensis civitate sedes interim habeas . 13 13
R.G.Goodchild - J.B. Ward Perkins, The Roman and Bizantine ...oop.
cit.,p.60 .
14 R.G.Goodchild - J.B. Ward Perkins, "The Christian Antiquities
of Tripolitania", in Papers of the British School at Rome,
1951, p.1 .
15 P. Romanelli, "Le sedi episcopali della Triplitania antica",
in Rendiconti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia,
IV, 1925-6, p.156 .
16 F.Caabrol- - H.Leclercq, Dictionnaire darchéologie chrétienne
et de liturgie, IV, 2, 1457-1505; P.Monceaux, Histoire littéraire
de lAfrique chrétienne, Vol VI, Paris, 1922 .
17 W.H.C.Frend, Religion and social change in the Late Roman Empire,
Cambridge Journal, Maggio 1949, pp.487-96; per questa ragione E.Gibbon,
lo storico inglese che scrisse nel 1901 Autobiography ( London
), li paragona ai camisardi di Linguadoca degli inizi del sec.XVIII .
18 A.Berthier, Les vestiges du Christianisme antique dans la Numidie
Centrale, Algiers, 1942, .
19 B.M.Apolloni, Il Foro e la Basilica Severiana di Leptis Magna, I
Monumenti italiani : rilievi raccolti a cura della R. Accademia dItalia,
fasc.VIII-IX, Roma, 1936 .P.Romanelli, "La basilica cristiana nellAfrica
Settentrionale italiana", in IV Congresso di Archeologia Cristiana,
pp.266-70.
20 Procopio di Cesarea, De Aedif., VI,4, 4-5 .
21 R. Bartoccini, "Africa Italiana", in Rivista di Storia
e darte a cura del Ministero delle Colonie, I, 1927, pp.53-74
; ibid. II, 1928-9, pp.30-49 .
22 R.G.Goodchild - J.B.Ward Perkins, The Christian.... op.cit.,
p.22 .
23 R.Bartoccini, "Scavi nel Foro Vecchio",in Rivista di Archeologia
Cristiana, VIII, 1931, pp.23-52 .
24 R.G.Goodchild-J.B.Ward Perkins, The Christian...op.cit., non
escludono un ripensamento in corso dopera .
25 R.G.Goodchild-J.B.Ward Perkins, The Christian...op.cit. .
26 Procopio di Cesarea, De Aedif. , VI,4, 4 .
27 R.Bartoccini, Rivista di Archelogia Cristiana, VIII, 1931, p.
52 .
28 Isabella Sjöström, Tripolitania in transition . Late roman to Islamic
Settlement, Glasgow , 1993 .
29 Procopio di Cesarea, De bello Vandalico, II, 21, 3 .
30 El Bekri, Description de lAfrique septentrionale ( ed.
De Slane ), Algeri, 1913, p.26 .
31 Al Idrisi ( Edrisi ), Descriptions de lAfrique et de lEspagne,
tradotto da Dozy e De Goeje, Leiden, 1866, p.154 .
32 P. Romanelli, Leptis Magna, Roma, 1925, p.45 .
33 E.Fiandra, I ruderi del tempio flavio. Vicende dal IV al IX secolo
, Libia Antiqua, XI-XII, 1974-75, pp. 147-50 .
Si ringraziano
per la collaborazione gli amici della missione italiana in Libia e Francesca
Rodriguez per l'aiuto indispensabile nella traduzione in inglese.
Enrico Cirelli
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