Tiziano Mannoni-Enrico
Giannichedda, Archeologia della produzione, Torino, Einaudi, 1996
L'assunto di
partenza della riflessione archeologica dei due autori, come subito e
chiaramente espresso nell'introduzione, si situa intorno ad una constatazione
logica e, almeno in apparenza scontata: le tecniche produttive sono alla
base della possibilità che gli uomini storicamente hanno di riprodurre
nel tempo le loro esistenze e, inoltre, di organizzare la loro vita in
società. Tuttavia, l'esigenza di indagare questo campo di ricerca si è
trovata spesso ad essere disattesa anche perchè discipline scientifiche
che tendenzialmente avrebbero dovuto insistere sull'argomento, quali ad
esempio la storia economica, si sono a lungo accontentate di seguire le
linee fondamentali di avvenimenti macroeconomici senza mai valutare l'impatto
diacronico della "lunga durata" della maggior parte dei saperi
tecnici, considerando contestualmente ogni tentativo di indagine su di
una storia delle tecniche produttive come supporto scientifico ausiliario.
Al contrario, gli autori del volume presentano già nei capitoli iniziali
un opposto punto di vista. Evidenziando i caratteri naturalmente interdisciplinari
del loro approcio metodologico, precisano le connessioni esistenti fra
cicli produttivi e contesti socio-economici. Nel fare ciò, aprono la loro
riflessione ai contributi delle diverse discipline demoetnoantropologiche
che hanno insistito più lungamente di quanto non abbiano fatto storia
ed archeologia, intorno alle problematiche relazioni fra civiltà e processi
produttivi, ed in generale sull'uomo inteso come homo faber. Riconoscibile
appare il pesante contributo della scuola paleoetnologica francese (Leroi-Gourhan
su tutti) e dell'antropologia culturale (in special modo Mauss, ed Angioni
e Cirese fra gli Italiani). E' possibile, altresì, che l'uso assai frequente
di ottimi grafici esplicativi si sia strutturato proprio a partire dalla
"digestione" di tali apporti scientifico-teorici. Accanto a
questo contributo delle "scienze di prevalente matrice umanistica,"
e mai disgiunto da un archeologia che avanza le proprie pretese di scientificità
per problemi e non mai suggerendo soluzioni, assume rilevanza il contributo
delle "scienze naturali" applicate all'archeologia: ad esse
spetta il fondamentale compito attraverso l'analisi dei reperti di indicare
metodi di produzione, provenienza dei materiali, contesti paleoambientali,
valutazione degli ecofatti. Tuttavia, queste analisi principalmente servono
in quanto presentano all'archeologo nuovi motivi di riflessione e non
in quanto portatrici di dati assoluti. "Fare archeometria vuol dire
elaborare anche le risposte, " ammetono gli autori indicando sempre
la fondamentale importanza dell'attribuzione di un significato archeologico,
ergo stratigrafico, alle risposte ottenute dalle analisi archeometriche.
Assai interessante a questo proposito risulta essere il concetto stesso
di stratigrafia sviluppato dagli autori, adombrato nei paragrafi che trattano
brevemente della storia metodologica dell'Archeologia ed infine chiarito
nella sua interezza: non esiste una stratigrafia cristallizata, essa deve
essere vista "dinamicamente;" lo scavo, è precisato dagli autori,
non è una cassettiera all'interno della quale la stratificazione può essere
vista come una conservazione, essa è al contrario da considerarsi come
l'inizio di una trasformazione.
L'indagine archeologica così strutturata per problemi non conduce certo
verso rassicuranti spiegazioni sul come le cose effettivamente funzionassero,
ma al riconoscimento delle evidenze archeologiche che possono aiutare
a comprendere come le società fossero strutturate. Tuttavia, l'impianto
concettuale del volume non rimane assolutamente ancorato alla sola teoria
bensì dimostra l'applicabilità sul campo delle proprie linee guida, se
si fa riferimento, ad esempio, a quanto riportato nell'ultimo capitolo
in particolar modo nei paragrafi sul ciclo della pietra ollare e intorno
allo studio delle ceramiche in Liguria nei quali forse in modo più accentuato
rispetto agli altri bei paragrafi, viene esaltato il rapporto organico
fra eventi diacronici, processi ed organizzazione della produzione (valutati
anche attraverso il ricorso ai metodi archeometrici) e contesti socio-economici,
con inoltre l'attenzione sempre rivolta alla valutazione delle effettive
capacità fabrili degli artigiani, al loro modo di apprendere e mantenere
il loro sapere.
Il volume di Mannoni e Giannichedda esplica e dunque afferma il proprio
maggior merito definendo l'Archeologia delle attività produttive quale
metodologia di osservazione e studio volta a "ricostruire" non
solo i processi produttivi e le relative tecniche ma, altresì, anche il
cosidetto ambiente interno, secondo la definizione cara a Leroi-Gourhan,
ovverosia l'insieme di strutture, tradizioni e comportamenti entro i quali
le diverse tecniche si vengono a collocare. Questo, infatti, riveste nello
sviluppo delle tecniche una fondamentale importanza che deve considerarsi
almeno pari a quella legata alle qualità della materia prima utilizzata
nel corso dell'attività di produzione. Il risultato di questo sforzo di
ricontestualizzazione teorica dell'Archeologia nel suo complesso, sfocia
così nell'abbattimento del tradizionale steccato che vuole separato l'uomo
dalla propria storia tecnologica. Seguendo quanto già espresso da Haudricourt,
è così possibile affermare che attraverso le direttrici di indagine espresse
nel presente volume la tecnologia, ovvero l'insieme di tecniche necessarie
a trasformare la materia prima in prodotti finiti, diviene scienza umana,
"science humaine," per eccellenza.
L'archeologia della produzione si assume dunque il compito di costruire
il primo gradino di una scala di valutazione degli eventi diacronici che
correttamente vede gli oggetti (rappresentati in questo caso dai reperti
e dal loro contesto stratigrafico) come il risultato del lavoro degli
uomini inteso come l'insieme dei movimenti muscolari tradizionali, ovvero
né naturali né, tantomeno, istintivi. Quindi, studiare un oggetto dal
punto di vista tecnico-produttivo significa, in ultima analisi, inserirlo
in un certo numero di questi sistemi e dunque spiegare come ed attraverso
quali procedimenti l'oggetto fabbricato risponde alla propria funzione.
Vasco La Salvia
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