Un capitello con bucrani
reimpiegato nella chiesa di S.Giovanni a mare a Gaeta
Nel borgo medievale
di Gaeta, non lontano dal campanile della cattedrale, è la chiesa deuterobizantina
di S.Giovanni a mare 1. Ledificio, edificato probabilmente nel corso
del XI secolo, ha destato linteresse degli studiosi per loriginalità
dellimpianto «nel quale si legge chiaramente il compromesso fra
la croce greca con cupola centrale....e la pianta basilicale a tre navate...»
(Fiengo, op. cit. , p. 676). Minore attenzione è stata invece rivolta
al materiale antico reimpiegato allinterno della chiesa.
Tra questo spicca un pregevole capitello corinzieggiante detà romana.
Esso è riutilizzato capovolto come base della colonna terminale di destra
nellarea del presbiterio ed è -per quanto ci risulta- inedito. Il
cattivo stato di conservazione 2 e la limitata visibilità del pezzo, parzialmente
occultato dalla pavimentazione del presbiterio, non facilitano lesame
tipologico e stilistico.
La base del capitello (marmo bianco a grana fine; lunense? H.: 64.5 cm.;
diametro inf.: 47 cm.; lato dellabaco: non rilevabile) è cinta da
una corona con foglie dacanto 3 alternate a palmette 4 angolari.
Nella metà superiore al centro di ciascun lato è un grande bucranio 5
in altorilievo con la fronte cinta dallinfula e tenie a grosse perle
ovoidali pendenti dalle corna e terminanti in nappe trilobe. Dietro le
corna lunghi nastri ondulati e svolazzanti si dispiegano lateralmente
sotto lorlo del kalathos. Le corna dovevano in origine sostenere
anche i ricchi festoni dei quali si conserva solo il tratto orizzontale
che interseca le palmette angolari. Sopra queste sono impostate le foglie
acantizzanti che rivestono le volute 6. Lorlo ben rilevato (h.:1.7
cm.) del kalathos segna il passaggio allabaco con cavetto decorato
a baccelli leggermente obliqui e convergenti con le estremità superiori
verso il fiore centrale. Questo, impostato su un sottile stelo ondulato
che affiora dietro il bucranio, era costituito da una corolla circolare
quasi integralmente perduta.
La decorazione a bucrani e festoni è certamente lelemento caratterizzante
del capitello in esame che trova invece numerosi e puntuali riscontri
per lapparato vegetale ed in particolare per la corona a foglie
dacanto e palmette nonchè per la baccellatura nellabaco.
Il bucranio in funzione di Girlandtrager sebbene ampiamente
diffuso fin dal periodo ellenistico su urne, sarcofagi, are, fregi, ecc.,
è invece piuttosto raro nei capitelli dove (cfr. E. von Mercklin, Antike
Figuratkapitelle, Berlin 1962, pp. 197-200) si ritrova soltanto in un
ridotto numero di esemplari di età imperiale. Due le varianti: con bucrani
in posizione angolare e festoni che intersecano la foglia centrale della
corona, o, viceversa, come nel nostro caso, con bucrani in posizione centrale
e festoni che intersecano le foglie angolari. A questo secondo tipo appartengono
gli esemplari Mercklin n°482 (fig.919) e n°483 (rilavorato nella metà
inferiore; fig.926), rispettivamente a Leptis Magna e Vienne. Entrambi
i capitelli, benchè affini al nostro nello schema generale, se ne discostano
notevolmente, oltre che per le minori dimensioni, per la diversa concezione
dellapparato vegetale (doppia corona dacanto di tipo asiatico
nel n°482) e figurativo che appare ridotto a elemento ornamentale con
i bucrani scarsamente integrati nellarchitettura e nel disegno complessivo
del pezzo. Anche il tipo e la resa del motivo appaiono diversi con una
certa stilizzazione del bucranio (dovuta forse anche alle piccole dimensioni)
che contrasta fortemente con il maturo naturalismo del capitello di S.
Giovanni a mare dove la forma triangolare di tradizione ellenistica è
stata abbandonata a vantaggio del tipo scarnificato (Skelettschadel)
con losso intermascellare a cucchiaio che si diffonde in età augustea
(Cfr. A.E. Napp, Bukranion und Girlande. Beiträge zur Entwicklungsgeschichte
der hellenistischen und römischen Dekorationskunst, Heidelberg Phil. Diss.
1930). Analoghe considerazioni si possono fare per un piccolo esemplare
ostiense databile alla seconda metà del II d.C. (P. Pensabene, Scavi di
Ostia VII. I capitelli, Roma 1973, n°736). Raffronti stilistici sono possibili,
oltre che con i noti esempi dellAra Pacis e del sarcofago Caffarelli,
con le urne marmoree (Cfr. Fr. Sinn, Stadtrömische Marmorurnen, Mainz
am Rhein 1987) Sinn nn°6, 7, 8 (medio-tardoaugustee), 10 (medioaugustea)
e soprattutto 52 (da Roma, sepolcro di Sulpicius Platorinus: età claudia)
con bucrani resi in plastico ed energico altorilievo; in questultimo
caso assai simili sono anche le tenie composte di grandi perle ripartite
in spicchi da incisioni longitudinali. Questa tipologia di tradizione
ellenistica (cfr. F. Rumscheid, Untersuchungen zur kleinasiatischen Bauornamentik
des Ellenismus, Mainz am Rhein 1994, tavv. 3.5; 113.1; 118.6-7) diviene
frequente a partire dalletà augustea come dimostra un altare circolare
della Galleria Borghese (H. von Hesberg, Girlandsmuck der republikanischen
Zeit in Mittelitalien in RM, LXXXVIII ,1981, tav.79.2). Più rara
è invece la riproduzione naturalistica del bucranio nei capitelli: parzialmente
confrontabili (per il risalto delle placche ossee) sono gli esemplari
Mercklin nn°485 (da unedicola di Pontecudi presso Todi: fine II
inizio III d.C.) e 486 (capitello di pilastrino decorato). La resa naturalistica
dei bucrani, con le orbite oculari ed altri dettagli anatomici sottolineati
da incisioni e fori di trapano, trova confronti anche in alcuni blocchi
di un monumento funerario (Mus. Naz. Rom. I/3, I 31 e II 5: secondo quarto
del I d.C.), dove assai simile è anche la lavorazione a grosse perle delle
tenie, ed in tre elementi di fregio (Mus. Naz. Rom. I/7, XV 39: età giulio
claudia) conservati nel Museo Nazionale Romano.
Il pessimo stato di conservazione dei festoni rende impossibile istaurare
confronti. Per quanto concerne la cronologia elementi utili sono forniti
dalle foglie dacanto che per le zone dombra fra i lobi a forma
di gocce piuttosto inclinate verso lesterno e per il modellato plastico
e naturalistico possono essere ascritte alla tradizione augustea inaugurata
dai capitelli del tempio di Marte Ultore. Alla medesima tradizione rimandano
le palmette dai lobi lunghi e tondeggianti come pure le baccellature sullabaco
piuttosto frequenti in età augustea (cfr. W.D. Heilmeyer, "Korintische
Normalkapitelle", RM, 16, 1970, tav. 42, 3-4: Pola, arco dei Sergi;
tavv. 40, 1-2 e 41, 1-3: Nimes, Maison Carrée; tav. 41,2: Arles, Arc
Admirable). Anche lalternanza di palmette ed acanto si riscontra
con una certa frequenza nei capitelli corinzieggianti del I secolo d.C.
(cfr. U.W. Gans, Korinthisierende Kapitelle der römischen Kaiserzeit,
Köln 1992, n°7:augusteo; n°64: metà del I secolo d.C.; nn° 65 e 72: seconda
metà del I secolo d.C.; nn° 319-321: primo trentennio del I secolo d.C.).
Come si è visto anche lesame dellapparato figurativo sembra
confermare questa cronologia. Confronti sono infatti possibili con urne
marmoree e elementi architettonici detà giulio-claudia. Il plasticismo
esuberante e lo stringente raffronto con i bucrani dellurna Sinn,
op. cit., n°52 (età claudia) inducono a proporre una datazione al secondo
quarto del I secolo d.C..
Alcune considerazioni sono infine da fare sulla provenienza e sul reimpiego
del pezzo. Lelaborato disegno e la raffinata lavorazione del capitello
indicano che esso è stato realizzato da marmorari esperti, abituati a
tradurre nel marmo modelli colti e dunque a lavorare per committenti di
rango elevato. Nelleventualità di una provenienza locale si potrebbe
pensare ad unofficina di origine campana, non immune dagli influssi
della capitale ma dotata di una propria fisionomia, magari la medesima
cui sono attribuiti un piccolo gruppo di capitelli corinzieggianti con
volute ad S, del primo trentennio del I secolo d.C., (confrontabili col
nostro per la corona a foglie dacanto alternate a palmette, queste
ultime anchesse con undici lobi lunghi e tondeggianti) conservati
nella stessa Gaeta e nella vicina Formia (v. Gans, op. cit., pp. 169-171,
nn° 319-322). Se invece si preferisce ritenere il pezzo un prodotto urbano
più che ad una attività locale di marmorari romani o ad un trasporto in
antico sarà opportuno pensare agli intensi trafficimercantili 7 della
città medievale, la cui flotta sappiamo impegnata nel trasporto di marmi
antichi da Roma e da Ostia per la ricostruzione dellabbazia cassinense
voluta da Desiderio (1067).
In ogni caso il riutilizzo capovolto come base di colonna preclude una
corretta fruibilità del capitello e del suo apparato figurativo rivelando
criteri di reimpiego indifferenti al recupero delle valenze semantiche,
- o culturali in senso più lato - dello spolium ed interessati forse alla
sola antichità del pezzo. Solo con lavvento della dominazione normanna
8 il reimpiego di materiali antichi, sorretto ora da attenti criteri dispositivi
e da unopportuna selezione dei pezzi, aquisirà anche a Gaeta significati
più complessi con le valenze materiali, ideologiche e simboliche degli
spolia poste a fondamento del programma architettonico e decorativo delledificio.
In questo rinnovato clima culturale verrà edificato il campanile della
cattedrale 9.
1) Per la descrizione
delledificio ed un esame dellimpianto e delle forme architettoniche
v. A. Venditti, Architettura bizantina nellItalia meridionale, vol.
II, Napoli 1967, p. 675 ss. e G. Fiengo, Gaeta, Napoli 1971, p. 60 ss..
Ibid. ulteriore bibliografia.
2) Spezzati gli spigoli dellabaco e tre delle quattro volute. Totalmente
perduti i fiori che decoravano labaco, uno dei bucrani (un secondo
è occultato dalla pavimentazione del presbiterio) e buona parte dei festoni;
assai scheggiato un altro bucranio e molti elementi dellapparato
vegetale. Superficie in alcuni tratti molto abrasa.
3) Le foglie dacanto presentano cinque lobi disposti intorno ad
una robusta costolatura ceentrale delimitata da solcature parallele che
si dilatano e si incurvano verso lesterno alla base e alla cima
della foglia. I lobi sono articolati in larghe fogliette e separati da
zone dombra a forma di gocce allungate, leggermente inclinate ed
inflesse verso lesterno. Le nervature secondarie sono rese da sottili
increspature e da unabile modulazione delle superfici. I bordi rialzati
delle fogliette contribuiscono ad accentuare il plasticismo naturalistico
dellinsieme.
4) Le palmette sono costituite da undici lobi, con stelo sottile ed estremità
arrotondate e rivolte verso lesterno, separati da strette e profonde
scanalature che nei lobi esterni giungono fino alla base della foglia
mentre in quelli più interni si arrestano prima inflettendosi e delimitando
la costolatura mediana. Questa, piuttosto piatta e leggermente incisa
nel mezzo, si allarga gradualmente alla base con andamento analogo a quello
della nervatura dellacanto.
5) Il bucranio riproduce naturalisticamente la testa scarnificata dellanimale
con le corte corna protese lateralmente e la parte superiore dellosso
parietale arrotondata ed evidenziata dallinfula che cinge la fronte.
Ben evidenziate e sottolineate da forellini di trapano le orbite oculari
sono leggermente ma energicamente divaricate verso lesterno. Al
di sotto la curvatura delle mandibole si conclude nellosso intermascellare
a cucchiaio, purtroppo assai abraso.
6) Le foglie acantizzanti presentano cinque lobi a contorno frastagliato
separati da zone dombra a goccia che tra i lobi inferiori si inflettono
fortemente verso lesterno assumendo laspetto di virgole capovolte
mentre tra i lobi mediani e quello superiore restano quasi verticali.
Ciò conferisce al lobo superiore un certo slancio che contrasta con il
limitato sviluppo dei lobi inferiori che a stento si dipartono dal corpo
inferiore della foglia. Costolatura e nervature secondarie sono rese attraverso
una quasi impercettibile modulazione delle superfici.
7) Per la presenza di manufatti romani di produzione urbana nelle città
marinare si vedano gli esempi di Pisa (cfr. F. Donati-M.C. Parra, Pisa
e il reimpiego laico: la nobiltà di sangue e dingegno,
la potenza economica, in B. Andraee-S. Settis, a c. di, Colloquio
sul reimpiego di sarcofagi romani nel Medioevo, Pisa 5-12 settembre 1982,
Marburg 1984 -Marburger Winckelmann Programm, 1983- , p. 103 ss., con
bibliografia) ed Amalfi (cfr. D. Manacorda, Amalfi: urne e commerci
medievali, in APARXAI -Nuove ricerche e studi sulla Magna Grecia
e la Sicilia antica in onore di Paolo Enrico Arias, I-III), Pisa 1982,
pp.713-752.
8) Sul reimpiego di materiali antichi nel periodo normanno v. P. Pensabene,
Contributi per una ricerca sul reimpiego e il recupero
dellAntico nel Medioevo, in RIASA, s.III, 1991-92, p.305 ss..
9) Per il reimpiego di spoglie nel campanile della cattedrale v. G. Mesolella-A.Ghelli,
Sul Campanile della cattedrale di Gaeta in occasione dei nuovi restauri,
in questa sezione di SPOLIA, Informazione, studi e ricerche sul Medioevo.
Gli autori stanno svolgendo ulteriori indagini sui materiali antichi reimpiegati
nel campanile.
Giuseppe Mesolella
e Michela Nocita
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