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Michela Nocita, Sul luogo del delitto: la Curia di Pompeo (Vademecum romanum)
Abstract Some observations about Curia and its topographical context. It will be focus on the archeological and literary sources in comparison concerning Ceaser’s murder at the Pompeius’ Teather in Campus Martius.
L’ultimo tragitto percorso in vita da Cesare nella mattina del 15 marzo del 44 a.C. consiste nel breve spazio urbano tra la Domus publica, luogo della sua dimora, e la Curia pompeiana. Il luogo dell’assassinio è parzialmente descritto nelle testimonianze letterarie a nostra disposizione, tuttavia sono i resti del complesso posti in luce dalle indagini archeologiche promosse dalla Sovrintendenza Comunale negli anni 2001-2003 ad aver consegnato un’immagine definita dell’assetto monumentale (fig.1). Fig.1 Il teatro di Pompeo da R.Étienne, “La Curie de Pompée et la mort de César” in Hommage a la Mémoire de Jérôme Carcopino, Paris 1977, 73, fig.1.
Partendo dalla fonti letterarie, Nicola Damasceno (FGrHist 90 F 101; XXIII 2-4) ricorda la Curia alludendo ad un ambiente chiuso che definisce genericamente stoa, e non precisa la pianta dell’edificio; in asse con la porta d’accesso della sala era l’altare sul quale Cesare sacrificò prima di raggiungere i senatori, i quali dovevano prendere posto sugli scranni alloggiati all’interno dell’ambiente (ibid., XXIV 88). Poco più dettagliata la testimonianza di Plutarco il quale colloca la Curia, provvista di un’abside, su un lato non specificato della porticus pompeiana; dalla lettura della testimonianza risulta che la sala doveva essere libera, dal momento che Bruto avanzò senza ostacoli all’interno di essa e che, di conseguenza, i gradini sui quali insistevano gli scranni dei senatori erano situati in file parallele lungo le pareti dell’edificio (Vita di Bruto 14). Nell’abside ricavata su uno dei lati lunghi della costruzione era collocata la statua di Pompeo, ai piedi della quale venne assalito Cesare. Appiano e Cassio Dione non aggiungono molto ai dati ricavabili alla Vita di Bruto, ricordando un portico difronte all’omonimo teatro (Appiano II 115, l.5), o una sala a peristilio nel teatro di Pompeo (Cassio Dione XLIV 16, 2, ll.1 e 7). Le fonti letterarie, nel complesso, danno un’idea approssimativa dell’interno della Curia, probabilmente ricalcato su quello della Curia Hostilia, luogo tradizionale della riunioni senatorie, e non indicano con precisione la sua ubicazione nella porticus. Un aiuto importante viene dalla rappresentazione del Teatro di Pompeo presente sui frammenti della Forma Urbis Marmorea, la pianta catastale redatta in età severiana grazie alla quale è stato possibile ricostruire buona parte della topografia antica di Roma (fig.2). L’identificazione del complesso di Pompeo sulla pianta è certa grazie alle indicazioni presenti accanto all’esedra (Theatrum Pompei) e al lato settentrionale (Hecatostylum). I frammenti FUR frr. 37-41, 257 rappresentano un quadriportico a doppio colonnato situato dinanzi al muro di scena del teatro; al centro dell’area erano due boschetti di platani, bordati da teorie di fontanelle delle quali sono state individuate le basi in sondaggi recenti sotto all’odierno Teatro Argentina. Sui lati lunghi della costruzione sono presenti delle piccole esedre una delle quali è identificabile, in base ai rinvenimenti epigrafici (CIL I 9404), con la schola dei fabri soliarii baxiarii sub theatro Pompeiano cioè con la sala di riunione dei tappezzieri e produttori di sandali sotto al teatro di Pompeo. Se i lati lunghi della porticus erano occupati da queste costruzioni, la Curia per esclusione doveva essere ubicata su uno dei lati brevi: è improbabile che l’ambiente fosse collocato sul retro del muro di scena, perchè dietro di esso è necessario uno spazio adeguato agli spostamenti degli attori che entravano e uscivano dalle tre porte canoniche. La Curia di necessità va cercata sul lato breve orientale della porticus cioè sul lato opposto al teatro, non conservato nella Forma Urbis Severiana (figg.3-4). In quel luogo, alle spalle dei templi repubblicani B e C di piazza Argentina, nel 1960 Marchetti Longhi ha indentificato la base della nicchia contenente la statua di Pompeo in un largo podio di tufo. Le dimensioni dell’intero edificio sono state quindi ricostruite in base a questa parte conservatasi: la Curia doveva essere più larga che profonda (circa 25 x 15 m.), aveva un’estensione di 400 m2 e doveva avere gli scranni allineati sui lati lunghi, mentre risultavano liberi e quindi adatti al passaggio i lati brevi. Fig.2 Il Campo Marzio FUR frr.37 e 257, 38, 40 da F.Coarelli, s.v. Curia Pompei, Pompeiana, in LTUR I, A-C, 431, fig.123a.
Fig.3 Posizionamento della Curia rispetto all’area sacra da L’area sacra di Largo Argentina: topografia e storia, Roma (Musei Capitolini) 1981, 479, fig.196 Fig.4 Pianta di Largo Argentina da E.Nash, PDAR I, Tubingen 1961, 136, fig.148. Fig.5 Frammento d’iscrizione da F.Coarelli, “Il complesso poempeiano del Campo Marzio” in Rend.Pont.Accad.Rom.d’Arch. (serie III), 44, 100, fig.1.
L’ambiente era sufficientemente ampio per le riunioni e monumentalizzato come un edificio autonomo: esso ben s’inquadrava nel grandioso complesso pompeiano edificato a partire dal 61 a.C. ed inaugurato nel 55 a.C. nel giorno del compleanno di Pompeo, il 29 settembre, consistente nel teatro e nei lunghissimi portici (180 x 135 m.). Plinio (NH XXXV, 59, 114, 126, 132) ricorda in più luoghi della Storia Naturale le eccellenti pitture ornamentali del teatro e le statue delle quattordici nazioni, opera di Coponio (NH XXXVI, 41) collocate nel propinquo Hecatostylum, il lungo portico a nord dell’area pompeiana, di poco più tardo del complesso, fatto costruire dai Lentuli, identificabili o con i consoli del 57 e 49 a.C. che seguirono Pompeo a Farsalo o con i consoli omonimi del 19 a.C. La scena del teatro era decorata da grandi statue di Muse, due delle quali oggi sono conservate al Louvre e al Museo Nazionale di Napoli, accompagnate da Apollo, identificabile nell’opera oggi custodita nel cortile di Palazzo Borghese. Nella ambulatio dei portici erano altre numerose statue di etere, poetesse e donne illustri della mitologia greca: tre iscrizioni su basi riferibili a queste statue sono state rinvenute da F.Coarelli nel magazzino di scavo dell’area sacra di Piazza Argentina nei primi anni settanta. Delle tre basette, lo studioso integra quella meglio conservata leggendo il nome di un’etera, Mystis, seguito dal nome dello scultore Aristodotos di Atene (fig.5); un piccolo frammento, di sicura provenienza dal complesso pompeiano, non integrabile, è quello che reca le poche lettere [---]mou Mel[---] (fig.6); il terzo frammento riporta il solo verbo epoiei. Dalla paleografia e dal materiale utilizzato, il marmo lunense, risulta che non si tratti delle iscrizioni originarie d’epoca pompeiana, ma dei rifacimenti d’età augustea, quando ebbe luogo un restauro complessivo del monumento (al quale farò riferimento più tardi). Il rifacimento, tuttavia, non alterò l’impianto originario della galleria. La scelta di opere di artisti greci per la realizzazione del programma decorativo del teatro e dei portici sarebbe da attribuire ad Attico, il celebre cavaliere romano, in base alla testimonianza conservata in una lettera di Cicerone di poco anteriore all’inaugurazione del complesso. Narrando all’amico di un suo incontro con Pompeo, Cicerone ricorda: “tibi etiam gratias agebat quod signa componenda suscepisses” (IV 9,1). Grazie alle descrizioni letterarie in nostro possesso, tra le quali spicca per completezza quella dell’apologeta Taziano (nel Contra Graecos 33), sappiamo che le opere esposte non erano omogenee per stile e per epoca. Facevano parte della galleria sculture eseguite appositamente, ma anche spolia di guerra. Di questo secondo gruppo facevano parte opere di Mirone, Prassitele, Bryaxis, Policleto, Kephisodotos, Lisippo; nel gruppo degli scultori contemporanei di Pompeo va posto Aristodotos, l’autore della Mystis ricordato nell’iscrizione. Le sculture, piuttosto, erano in relazione tra loro grazie a due motivi principali: il mondo del teatro e della poesia e il culto della Venere Pompeiana. Fig.6 Frammento d’iscrizione da F.Coarelli, “Il complesso poempeiano del Campo Marzio” in Rend.Pont.Accad.Rom.d’Arch. (serie III), 44, 101, fig.2. Fig.7 Sezione longitudinale del teatro di Pompeo da F.Coarelli, Roma. Guide archeologiche Laterza, Roma-Bari 19972, 323.
E’ noto che nel teatro di Pompeo era stato dedicato un tempio di Venere (Tertulliano nel De spect. 10, 5): la presenza di una cella rituale in summa cavea, cioè sulla fila più alta di posti, proseguiva una tradizione italica che legava al culto gli spettacoli teatrali; a Roma stessa i templi di Cibele e Apollo in Circo erano luogo di rappresentazioni. Tuttavia il vero motivo della presenza dell’aedes nel teatro trapela dalla testimonianza di Tertulliano, il quale afferma che Pompeo coronando il monumento con un tempio aggirò brillantemente i censori, i quali avevano proibito fino a quel momento la costruzione di teatri in muratura a Roma. Rafforza quest’ipotesi Svetonio il quale ricorda non il solo tempio di Venere, ma più superiores aedes, rintracciabili quindi nella summa cavea (Vita di Claudio 21,1): uno doveva essere quello della Vittoria, ricordato da Aulo Gellio (Notti Attiche X 1,6) e dedicato durante il terzo consolato di Pompeo, nel 52 a.C.; altri, celebrati in un’iscrizione monumentale (CIL I2, p.234), erano quelli di Honor, Virtus, Felicitas, e di un’altra divinità, forse V(aletudo). Al momento le indagini archeologiche hanno rivelato l’esatta posizione del solo Tempio di Venere Pompeiana (fig.7), sulle sostruzioni del quale insiste l’odierno Palazzo Righetti presso Campo de’ Fiori (la forma della cavea teatrale è ripresa dalla posizione delle case di Piazza di Grotta Pinta; esse costituiscono uno dei casi più notevoli di continuità urbanistica a Roma). Fig.8 Statua di Pompeo, particolari del braccio sinistro e del globo nella mano sinistra da M.Sapelli, “Palazzo Spada. Restauro della statua di Pompeo” in BA 5-6, 1990, 185, figg. 30-31.
La Curia pompeiana, cioè il luogo dell’assassinio di Cesare, afferiva dunque ad uno splendido complesso costituito dal teatro, coronato dai templi, e da una straordinaria galleria, la porticus, ricca di opere d’arte. Come è stato ricordato, anche la sala curiale ospitava in un’abside una statua, quella di Pompeo, ai piedi della quale Cesare sarebbe stato aggredito dai congiurati. Si è voluto riconoscere quell’immagine di Pompeo nella figura eroica conservata oggi nella sala delle riunioni del Consiglio di Stato a Palazzo Spada Veralli, in via Capodiferro. La scultura era stata rinvenuta sotto il pontificato di Giulio III, nel 1552, in via dei Leutari, presso il Palazzo della Cancelleria, in una cantina; il manufatto era diviso in due parti da un tramezzo che separava la testa ed il corpo in due diverse proprietà. La figura virile, in marmo pentelico e di dimensioni colossali (3 m. alt.), è rappresentata in nudità eroica: essa si appoggia sulla gamba destra sostenuta da un puntello configurato a tronco di palma; ha una clamide fermata sulla spalla sinistra da una fibula circolare con gorgoneion e nella mano sinistra reca un globo. Trasversalmente sul busto corre un balteo cui è appesa una spada; il braccio destro è teso in avanti verso l’alto, forse originariamente nel gesto della pacificazione o appoggiato ad un’asta. Grazie all’intervento di pulitura e restauro del 1990 è stato possibile accertare che vanno attribuiti ad un restauro cinquecentesco sia il braccio destro sollevato che la testa, contro l’originaria tradizione relativa al rinvenimento in situ di testa e corpo staccati da una trave. L’antica identificazione della statua con quella di Pompeo era basata essenzialmente sulla vicinanza del sito di rinvenimento ai portici pompeiani: l’identificazione supposta, nel tempo divenne una certezza, tanto che è noto che la statua fu trasportata nel 1799 nel teatro di Tor di Nona in occasione di una rappresentazione tragica sulla morte di Cesare. Le macchie di ruggine di colore rossiccio presenti sulla parte inferiore della gamba sinistra, dovuti all’ossidazione dei perni di ferro utilizzati nell’assemblaggio dei frammenti rinvenuti, vennero allora interpretate come residui delle macchie di sangue di Cesare, quindi come conferma dell’identificazione della statua con quella di Pompeo. Oggi un gruppo di studiosi, tra i quali Marina Sapelli e Gilles Sauron, collocano il manufatto in età flavia in base alle caratteristiche tecniche, convalidando l’ipotesi avanzata negli anni ’50 del Novecento da Faccenna, il quale riconosceva nella figura virile l’imperatore Domiziano. L’identificazione era suggerita allo studioso dalla topografia (il sito del rinvenimento non è lontano allo Stadio di Domiziano) e dall’iconografia: la spada ed il mantello militare attestano le virtù guerriere del personaggio (fig.8); il sostegno a tronco di palma è collegato al concetto della vittoria; il gorgoneion sulla fibula nella variante qui riprodotta, ad occhi chiusi, è documentato nei rilievi della Cancelleria proprio per la figura di Domiziano; il globo, tenuto nella mano sinistra, che doveva sostenere una statuina metallica della Vittoria, è simbolo imperiale del potere universale (fig.8). Tuttavia è proprio la rappresentazione del globo a far ancor supporre ad alcuni, in particolare a Coarelli, che la statua di Palazzo Spada sia proprio quella di Pompeo, muta testimone della congiura cesariana. Pompeo, che volle presentarsi come conquistatore del mondo e novello Alessandro, tra l’altro ponendo le già ricordate quattordici statue delle Nazioni nello Hecatostylum, ebbe l’onore di aver dedicata la prima moneta romana in cui appaia un globo: è quella coniata nel 55 a.C. da Fausto Silla, figlio del dittatore, per il suocero (fig.9). Il simbolo del dominio universale vi appare circondato da quattro corone, tre delle quali si riferiscono al triplice trionfo celebrato al ritorno dall’Oriente nel 61 a.C. in Armenia, Palestina e Crimea, mentre la quarta allude alla corona d’alloro che Pompeo aveva avuto il permesso di portare con la toga picta anche dopo il trionfo; onore che, come noto, rifiutò. Molte fonti letterarie concordano nel presentare Pompeo come trionfatore dell’oikoumene; inoltre, la datazione del manufatto ad epoca anteriore all’età flavia non è del tutto da escludersi a un riesame stilistico della scultura: l’aspetto del panneggio risulta essere ancora di tipo ellenistico, dunque databile al I secolo a.C. . Fig.9 Moneta di Fausto Silla da F.Coarelli, “Il complesso poempeiano del Campo Marzio” in Rend.Pont.Accad.Roo.d’Arch. (serie III), 44, 121, fig.30.
Se non è possibile affermare con assoluta certezza che la statua in nostro possesso sia effettivamente quella della Curia, è certo da Svetonio che quella originale fu trasportata da Augusto fuori dalla Curia e che venne posta su di un arco marmoreo contra theatri eius regiam marmoreo iano (Vita di Augusto 31), e cioè alle spalle della valva regia (la porta centrale della scena). La Curia, infatti, nella risistemazione dell’area promossa da Augusto nel 30 a.C. alla quale si è già accennato (a questo periodo risalgono le basi di statua con iscrizioni in greco studiate da Coarelli), venne decretata “luogo maledetto”, murata e addirittura trasformata in latrina (Cassio Dione XLVII 19, 1). Ciononostante, nell’immaginario collettivo, la storia e la funzione della Curia sembrano fermarsi al 15 marzo del 44 a.C. In quel giorno si tenevano giochi gladiatori nel teatro in onore dei Mani di Pompeo, il grande vinto al quale Cesare, nella sua clemenza, non aveva mai smesso di rendere omaggio. I Ludi scaenici, animati da gladiatori coinvolti nella congiura, avevano dunque una funzione espiatoria. Nello stesso tempo, secondo l’uso, in presenza del Senato, Cesare andava a compiere il sacrificio di una vittima a piedi della statua di colui che aveva vinto a Farsalo. E’ ben comprensibile perchè molti autori antichi abbiano sottolineato il gioco tra l’azzardo e la morte in tutte queste azioni che evocano ineluttabilmente una Tyche maligna. La Curia, tuttavia, non è soltanto il luogo dell’omicidio di Cesare ma il primo edificio adattato ad esprimere il culto imperiale. Posizionando la statua di Pompeo su un arco in asse con la porta reale del teatro, Augusto crea un prototipo come appare dall’evidente rapporto tra questo edificio ed i fori imperiali. Creatore di un’originale espressione architettonica, Pompeo era stato emulato con spirito antagonistico già da Cesare il quale aveva ripreso la concezione dello spazio dell’area pompeiana del Campo Marzio nel suo Foro: in esso il tempio di Venere Genitrice appare posizionato sul fondo del triportico. Lo stesso assetto avranno il tempio di Marte Ultore nel Foro di Augusto e il Tempio della Pace nel Foro di Vespasiano. Augusto, erede di Cesare, celebra la memoria del padre adottivo elaborando una tipologia architettonica riservata negli anni a venire al culto imperiale. BIBLIOGRAFIA: F. Coarelli, “Il complesso pompeiano del Campo Marzio e la sua decorazione scultorea”, Rendiconti della Pontificia Accademia di Archeologia (ser. III), 44, 1971-1972, 99-122. R. Étienne, “La Curie de Pompée et la mort de César”, Hommage a la Mémoire de Jérôme Carcopino, Paris 1977, 71-79. F. Coarelli, L’area sacra di Largo Argentina: topografia e storia, Roma (Musei Capitolini) 1981. G. Sauron, “Le complexe pompéien du Champ de Mars: nouveauté urbanistique à finalité idéologique”, L’Urbs. Espace urbain et histoire (Ier siècle av. J.C.-IIIe siècle ap. J.-C.). Actes du colloque international organisé par le Centre national de la recherche scientifique et l’École française de Rome (Rome, 8-12 mai 1985), Rome 1987, 457-473. M. Sapelli, “Palazzo Spada. Restauro della statua di ‘Pompeo’”, BA 5-6, 1990, 180-185. F. Coarelli, s.v. Curia Pompei, Pompeiana, LTUR I, A- C, 334-335 (1993). F. Coarelli, Roma. Guide archeologiche Laterza, Roma-Bari 19972. M.C. Gagliardo, J.E. Packer, “A New Look at Pompey’s Theater: History, Documentation, and Recent Excavation”, American Journal of Archaeology vol.110, n.1, 2006, 93-122.
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