SIFR. V convegno nazionale della Società Italiana di Filologia Romanza Si è svolto a Roma dal 23 al 25 ottobre 1997 il V convegno nazionale della Società Italiana di Filologia Romanza (SIFR). Organizzato con il concorso dei tre atenei capitolini ("La Sapienza", "Tor Vergata" e "Roma Tre"), Le letterature romanze del Medioevo : testi, storia, intersezioni, questo il titolo dellincontro, ha avuto il merito di proporre prevalentemente anticipazioni e lavori in corso, tracciando così un interessante quadro consuntivo delle metodologie e degli argomenti di ricerca che attualmente impegnano gli studiosi italiani. Tre sono stati i temi principali di discussione scelti per le giornate del convegno : I-Percorsi della comparazione ; II-Volgarizzare e tradurre, implicito omaggio al compianto Gianfranco Folena nella ripresa del titolo di un suo fortunatissimo libro e III-Ledizione e il commento. È proprio in questultima sezione che si segnalano alcuni dei contributi più interessanti. Luciano Formisano ("L'edizione dei testi giuridici: il Libro de los privilegios di Colombo e un codice americano delle Leis Willelme") ha presentato due attestazioni manoscritte precedentemente ignorate delle Leis Willelme, testo giuridico anglonormanno della metà del XII sec.(cfr lo studio di Jakob Wueest pubblicato nel 1969 per Francke) Formisano ha infatti ritrovato in un codice conservato a Los Angeles (La) e databile agli anni 1560-1571 due attestazioni delle Leis Willelme. Nel manoscritto di Los Angeles le Leis sono trascritte due volte, in due luoghi diversi e soprattutto in due distinte versioni. Le prima corrisponde alla redazione breve del testo, trasmessaci in forma analoga a quella contenuta nel codice di Oxford (Hk, Holkham Hall 228), il testimone più antico di questa versione delle Leis (anno 1230 ca, cfr sempre J. Wuuest, op. cit.). Ad esso La sembra essere legato da relazioni di forte dipendenza, evidenti nellaccordo in omissione di paragrafo e in errori comuni , che consentono di definirlo come un gemello di Hk. La seconda versione delle Leis presente in La è invece attestazione della redazione lunga dellopera, di cui si conoscevano fino ad oggi solo edizioni a stampa. Dal confronto tra i testimoni Formisano evince lantecedenza cronologica e la maggiore autorevolezza del testo di La rispetto a quello degli altri esemplari a stampa. Il codice di Los Angeles assume così una posizione rilevante per la definizione del testo critico delle Leis, contenendo una nuova testimonianza manoscritta della redazione corta dellopera (prima attestazione di La) da aggiungere al novero della tradizione e lunica attestazione manoscritta della versione lunga del testo (seconda attestazione di La), a giudizio di Formisano più antica e più affidabile di tutte le altre testimonianze di questa redazione finora conosciute. Una nuova proposta editoriale per Mort le roi Artu è stata avanzata da Lino Leonardi ("Verso una nuova edizione della Mort le roi Artu"). Sulla base dello stemma stabilito nell'edizione Frappier del 1936, Leonardi arriva ad una revisione dei criteri adottati da Frappier in questa edizione. Unattenta analisi delle varianti, più numerose nella seconda parte del romanzo, evidenzia una contrapposizione che oppone A (Paris, Bib. de l'Arsenal, 3347), X3 vs beta, delta, gamma (tutte le sigle si riferiscono allo stemma Frappier a cui si rimanda) e che arriva a poter costituire, in casi di errori e soprattutto lacune, un indizio secondo Leonardi di contaminazione tra A e X3. Riconosciuto così il legame di A e X3, cade la necessità stemmatica di mettere a testo le varianti comuni a questi due rami della tradizione, prassi invece normalmente seguita da Frappier nella sua edizione. In condizione di parità stemmatica Leonardi propone di seguire tendenzialmente il ramo X1, lasciato in secondo piano da Frappier, da preferire, spiega giustamente Leonardi, perché latore della versione più fortunata e più conosciuta in epoca medievale, come dimostra la ricchezza della tradizione di cui è il capostipite, e perché detentore della forma più completa del testo (che Leonardi non ritiene interpolata, ma originaria). E allinterno di X1 la precedenza viene accordata a delta (D [Paris., B.N., fr. 342]) risulta infatti già a giudizio di Frappier interpolato mentre O (Paris, B. N., fr. 120) e Ac (Paris, Bib. de l'Arsenal, 3480) sono due codici "gemelli" di epoca tarda). È questo infatti il ramo più abbondante sotto X1, rappresentato da testimoni antichi (V [Città del Vaticano, Bib. Apostolica Vaticana, Pal. Lat., 1967], O1 [Oxford, Bodleian Lib., Rawl. D 874], O4 [Oxford, Bodleian Lib., Douce 189] del XIII sec. ca ; F [Paris, B. N., fr. 751] della metà del XIV), al quale si possono ricondurre ricondurre almeno anche altri due"manoscritti (dei dieci non visti da Frappier dei quali si arricchisce adesso la recensio proposta da Leonardi), Ya (New Haven, Yale Universitary Lib., 229, ex Phillips 130) e di Ber (Berkely, University of California, The Brancroft Lib., 73, ex Phillips 4377). Corrado Bologna ("Talia dictabat noctibus aut equitans: Balderico de Bourgueil o Guglielmo IX di Aquitania?") ha proposto una suggestiva anticipazione del suo saggio "Talia dictabat noctibus aut equitans", di prossima pubblicazione nella nuova rivista del Dipartimento di Studi romanzi delluniversità "La Sapienza" Critica del testo, 3/98. Limmagine del trotto quale metafora dellattività letteraria è stata a lungo investigata soprattutto in ambito narrativo dagli studiosi di Boccaccio, per il ruolo fondamentale che essa ha nel Decameron. La famosa novella di madonna Oretta, in cui un cavaliere incapace di narrare è messo a tacere dalla dama con la giustificazione ironica (o motto di spirito) che il suo cavallo ha "troppo duro trotto", è stata infatti letta dalla critica come allegoria dellintera composizione dellopera, riflessione metaletteraria, anche in virtù della collocazione strategica della novella (VI, 1) al centro della raccolta boccacciana. Per il motivo sono stati indicati antecedenti orientali, come laneddoto del Libro delle delizie (Sefer Saasuim) di Yosef ibu Zabara, segnalato per la prima volta da A. Freedman ("Il cavallo di Boccaccio : fonte, struttura e funzione della metanovella di Madonna Oretta", in Studi sul Boccaccio, IX, 1975, pp.225-241), e poi approfondito da M. Picone ("Preistoria della cornice del "Decameron", in Studi di Italianistica in onore di Giovanni Cecchetti, a c. di P. Cherchi e M.Picone, Ravenna, Longo, 1988, pp.91-104, in part. pp.103-104) e modelli latini e oitanici (Lai du Trot, De Amore di Andrea Cappellano) in cui il motivo si combina con lo stereotipo della caccia infernale (cfr W. A. Neilson, "The Purgatory of cruel Beauties", in Romania, XXXIX, 1900, pp.140-145). Bologna invita adesso a ripensare alla fortuna lirica della metafora. L'immagine ricompare infatti enigmatica alle origini della poesia trobadorica nel Vers de dreit nien (vv.5-6) di Guglielmo IX, che Bologna pone in relazione con un passo del poema Contra Obtrectatores (v.64) di Balderico di Bourgueil in cui si legge un'analoga espressione figurata. Pur rimanendo ancora aperti alcuni interrogativi (direzione del "prestito" : Balderico (1045-1130)>Gugliemo (1071-1126) o viceversa : i dati biografici consentono infatti entrambe le possibilità), le considerazioni proposte appaiono particolarmente interessanti ed hanno inoltre il merito di sottolineare negativamente la dicotomia prodottasi negli studi critci tra analisi della fortuna della metafora "cavalcare:scrivere" in prosa e studio della vitalità della stessa immagine in poesia, ricordando che Gugliemo IX e Madonna Oretta sono in realtà di faccie di una stessa medaglia, che sarebbe metodologicamente errato considerare indipendenti. Per gli studi trobadorici di grande interesse la presentazione del Repertorio dei componimenti ad attribuzione plurima curato da Carlo Pulsoni ("Problemi attributivi nella lirica trobadorica"). Come spiegato
dallautore nella sua relazione, il catalogo raccoglierà circa 360
casi di composizioni date dai testimoni a più di un poeta. Andrea Fassò ("La diffrazione e le fate: Buen vueilh que sapchon li pluzor") ha portato allattenzione dei presenti limportanza spesso trascurata dellinflusso celtico nella poesia dei trovatori, riconoscendo in particolare nella dama cortese la sopravvivenza del modello della fata celtica. Questa figura femminile, in cui diversi studi hanno evidenziato tanto lincarnazione medievale della PARCA latina, nellatteggiamento protettivo della fata madre, quanto lerede delle ninfe amanti delle letterature classiche, nellimmagine della fata amante, continuerebbe ad essere attiva come modello per la creazione dello stereotipo della signora cortese. Nascoste sotto il senhal di "buone signore"(Guglielmo IX, Farai chansoneta nueva, vv.9-10, 19-23, ma anche Bernart de Ventadorn, Arnaut de Maruelh, Raimon de Miraval e molti altri citati precisamente da Fassò), "buone vicine", le dame della lirica trobadorica sono infatti spesso definite come creature capaci di dare nutrimento allamato, attitudine tipica della fata madrina. Come le fate
amanti sono in grado di accompagnare il fedele damore verso lestasi
erotica, lallontanamento Si spiega così ancora più precipuamente la contrapposizione tra il lai e il sai, tanto attiva nella lirica trobadorica, se sotto il "qui" e il "là" si può leggere addirittura una allusione allopposizione tra mondo sensibile e universo magico. Anche la tutela
del legame amoroso attraverso il silenzio (il celer) è considerato
da Fassò un motivo di ascendenza celtica. Indice alfabetico degli altri interventi: Alvar, C., "Traducciones
en Castilla durante la Edad Media" Teresa Nocita |