(edito settembre 2004) 1. Introduzione 2. Codificazione e sviluppo 3. Origini 4. L'Incontro in Italia 5. Il Trionfo della Morte del Camposanto di Pisa 6. Altre immagini della morte 7. Bibliografia 1. INTRODUZIONE Dare una forma e un'immagine tangibile alle proprie paure è una necessità avvertita dagli uomini di tutti i tempi. In particolare, in un'epoca pervasa dall'ossessione per la forma e la materialità come il Medioevo, la morte, la paura ancestrale per eccellenza, popola leggende popolari, racconti, poesie edificanti, affreschi e quant'altro sotto forma di molteplici visioni: cavaliere apocalittico, magari alla guida di una masnada di hellequins o a capo di una caccia tragica, demone che scende dal cielo con ali di pipistrello, scheletro armato di falce, spada o arco, pilota di un carro pieno di morti. Queste sono solo alcune delle maschere dietro le quali la morte si cela all'uomo del Medioevo. Affinché la sua fantasia fosse incatenata definitivamente a una figura davvero efficace, la mente medievale aveva però bisogno di visualizzare la morte in immagini materiali e forme chiare. Il successo e la diffusione capillare degli ordini mendicanti e dei predicatori, abili a sfruttare a loro favore i consistenti progressi dell'arte nella rappresentazione realistica, portò alla creazione dei nuovi, terribili, volti della morte, destinati a cristallizzarsi per sempre come sue rappresentazioni canoniche nell'immaginario collettivo. La svolta è l'inserimento dell'orrore, inteso come forza di persuasione. Il contemptus mundi, tema sempre presente nella letteratura ecclesiastica del Medioevo, sfocia spesso nella compiaciuta e morbosa descrizione del corpo in putrefazione, insistendo sugli aspetti più laidi della vita, dal concepimento alla morte, vista come mero momento di transito alla vita eterna, punto di passaggio a cui anelare, nascondendosi e sfuggendo al mondo. Con l'arrivo della crisi e delle epidemie del XIV secolo, la Chiesa gioca sull'inquietudine dei fedeli e sfrutta nuovi mezzi per tirare le fila del suo gregge, trovando nel memento mori il ritornello ideale per richiamare all'ordine le pecorelle smarrite. Se l'uomo era troppo attaccato alla vita terrena, non restava che mostragli la vanità delle sue gioie, facendo leva sull'orrore per le conseguenze della morte: non più conseguenze morali e teoriche (salvezza o dannazione), ma fisiche e tangibili. L'orrore per la putrescenza del cadavere viene esplorato con morbosità e inculcato negli animi dall'azione predicatrice, che, non potendo prescindere da quello strumento di persuasione di inestimabile valore e potenza che è l'immagine, usa la rappresentazione artistica come completamento, illustrazione e commento alla parola. Stampa e xilografia favoriscono inoltre rappresentazioni sempre più efficaci e lapidarie, e contribuiscono ad imporre i nuovi orrifici temi iconografici e poetici, passati dalla letteratura ecclesiastica a quella popolare e perfino a forme di paraletteratura popolare come i pliegos sueltos. Questo nuovo modo di vedere la morte si incontra inevitabilmente con l'atavico e latente terrore del soprannaturale e le paure si mescolano, forgiando temi che uniscono l'orrore della decomposizione alla terribile visione di esseri demoniaci e spettrali, che si rianimano per trascinare i vivi nel loro mondo. Negli affreschi, il tema del Giudizio Universale e le personificazioni allegoriche passano in secondo piano in favore di rappresentazioni della morte destinate ad avere un'incredibile efficacia, come la Danza Macabra, il Trionfo della Morte e l'Incontro tra tre vivi e tre morti. L'origine di questi temi è una questione discussa e di non facile soluzione, ma è certo che la loro diffusione fu favorita dal clima di rinnovato fervore religioso a cavallo del XIV e XV secolo, con un forte valore di ammonimento. Obiettivo del mio lavoro sarà esplorare in particolare il tema iconografico dell'Incontro dei tre vivi e dei tre morti, descrivendone i tratti costitutivi, alcune ipotesi di origine e il suo sviluppo. Mi soffermerò in particolare sul suo destino in Italia e sulla sua più importante rappresentazione nel Camposanto di Pisa, cercando infine di analizzare il tema nel contesto delle più comuni immagini della morte del XIV e XV secolo, evidenziando corrispondenze e contrasti. 2. CODIFICAZIONE E SVILUPPO Il tema appare per la prima volta in quattro poemetti francesi (conservati in codici della fine del XIII secolo), incentrati per lo più sul dialogo tra i tre vivi e i tre morti, e gli elementi della cornice narrativa si desumono dai riferimenti nelle parole dei personaggi: un giorno tre nobili signori, soddisfatti ed orgogliosi della loro condizione, durante un battuta di caccia s'imbattono in tre morti, orribili a vedersi; ne hanno spavento, ma anche ammonimenti per una vita migliore, perché l'apparizione è voluta da Dio. L'avvertimento epigrammatico "Vous serez ce que nous sommes" riassume la lezione di questo incontro-scontro tra la forma più desiderabile della vita e la forma più ripugnante della morte: la morte condiziona il significato della vita. Inizialmente l'Incontro viene rappresentato nelle miniature che illustrano i relativi poemetti, nelle quali lo spazio è rigidamente bipartito in due aree simmetriche (tipo francese o Arsenal, fig. 1), occupate a sinistra dai vivi, a destra dai morti. Entrambi i gruppi sono in piedi, allineati gli uni di fronte agli altri: è evidente, in questo tipo di composizione, la volontà di rappresentare schematicamente l'atto dialogico al centro dei poemetti. Proprio queste miniature, fissatesi in una forma iconografica tradizionale, possono essere state il preciso riferimento per altre raffigurazioni indipendenti, sfruttate nei libri d'ore (fig.2) e nella grande arte pittorica degli affreschi. Sta di fatto che, dalla fine del XIII secolo, l'Incontro inizia a diffondersi in Europa, partendo dalla Francia: a Metz, Sempach (presso Lucerna), Atri e Melfi in Italia (nel Sud angioino) appaiono affreschi strettamente legati alla tradizione iconografica francese. E' interessante notare come la caccia, occupazione prediletta dalla nobiltà ma anche topos legato all'immaginario popolare della Morte, sia fin dagli esordi un elemento fisso della rappresentazione: i tre nobili hanno sempre accanto falconi oppure segugi, sia che si presentino a cavallo che appiedati. La nobiltà dei tre vivi, che a volte portano corone sul capo, è sempre resa evidente negli abiti eleganti e ricercati, compatibilmente all'abilità del miniatore o del pittore. Fino alla fine del XIII secolo, i morti non sono altro che larvae parlanti, scheletri animati di memoria classica, neanche troppo spaventosi. Solo con l'inizio del XIV secolo, l'iconografia tradizionale subisce una duplice spinta verso nuove suggestioni macabre e un messaggio morale meglio definito. Poemetti e miniature più tardi (fine XIV - XV secolo) registrano l'entrata in scena del nuovo personaggio dell'eremita, una sorta di narratore interno della vicenda, il cui scopo è fare meditare i tre nobili e quindi il lettore. La nuova figura rompe la schematicità dialogica, tramutando l'incontro-dialogo in un incontro-meditazione: la sua presenza rende superfluo l'atto discorsivo dei morti, e la loro eloquenza è affidata solo al loro aspetto, sul quale appunto l'eremita invita i vivi a meditare. Venendo meno la contrapposizione dialogica, la rigida rappresentazione dei due gruppi si scioglie, perché la nuova figura spezza anche la simmetria e l'unità della composizione tradizionale. Visto il fulmineo proliferare della sua presenza nell'iconografia dell'Incontro, appare probabile che l'eremita sia nato proprio nell'arte e poi, seguendo un percorso inverso rispetto al resto del tema, sia stato aggiunto nei poemetti di più recente redazione. La comparsa dell'eremita, inoltre, pone le condizioni per l'inserimento del muto orrore per la decomposizione: i tre scheletri diventano ora tre cadaveri, non più in piedi, ma distesi nelle loro tombe scoperchiate. Il significato conclusivo della morte prende forma tramite la ricerca di rappresentare gli aspetti più repellenti che il corpo umano assume nella progressiva consunzione della carne, e i tre morti vengono così rappresentati in tre progressivi stadi di decomposizione. Dal punto di vista del messaggio, al nuovo personaggio spetta la funzione di mediare tra i due gruppi e di dare un senso univoco alla rappresentazione, fugando ogni sospetto e tentazione di interpretare la scena come un'esortazione di stampo oraziano a cogliere l'attimo, che invece è tipica delle simili esperienze classiche (il Satyricon di Petronio ne contiene un emblematico esempio). La rappresentazione, a questo punto, si trova a un bivio: in Francia, sulla scorta di un gusto morbosamente macabro e contaminata dalle atmosfere della Danza Macabra, assumerà caratteri più violenti e beffardi, mentre in Italia, dove la figura dell'eremita sovrasterà in importanza i due gruppi originari, si imporrà il suo valore didattico. Ma in entrambi i paesi il tema sarà destinato ad esaurirsi nel corso del XV secolo, soppiantato dalle più spettacolari Danze Macabre o dai fantasmagorici Trionfi della Morte. Un ultimo aspetto ricorrente da sottolineare è esterno alla rappresentazione dell'evento: si tratta del posizionamento strategico degli affreschi. Quasi sempre, infatti, per la loro violenta carica di ammonimento, questi sono posti in luoghi di passaggio, sulle pareti di porticati o a coronamento dei portali, evidenziando la volontà di accomunare, nella sorpresa e nell'ammonimento, i destinatari degli affreschi ai tre nobili. Ed è importante notare quanto spesso questa rappresentazione si possa trovare presso cimiteri, campisanti o cappelle ad essi collegate, in modo da assumere un significato ancora più forte di memento mori, potenziando la carica emotiva dei rituali funebri e venendone contemporaneamente potenziata essa stessa. 3. ORIGINI E' molto probabile che alla base delle prime testimonianze poetiche del tema ci sia stato un racconto, ma non se ne hanno prove certe. L'evoluzione trecentesca del tema nell'arte, con il passaggio da scheletri a cadaveri decomposti e con l'inserimento della figura dell'eremita, ha portato all'elaborazione di una ipotesi suggestiva da parte di Jurgis Baltrusaitis, che, nel suo Medioevo Fantastico, situa l'origine del tema in Asia. Il discorso prende le mosse dal capitolo XI dell'Autunno del Medioevo di Johan Huizinga, il quale trovava nella "paura di vivere", nel "rifiuto della bellezza e della felicità in quanto legate a calamità e dolore" e nel "ribrezzo per la vecchiaia, la malattia e la morte" una somiglianza straordinaria tra la filosofia buddista e il cristianesimo ascetico. Alla luce di questa corrispondenza, Baltrusaitis mette audacemente a contatto il nostro tema con la tradizione buddista del Lalita-Vistara, testo sacro indiano che narra dei quattro incontri alla base della conversione di Bodhisattva, il futuro Illuminato. Il giovane principe esce dal suo isolamento dorato e si trova successivamente alla presenza di un vecchio, di un malato, di un morto e di un eremita, che gli dèi pongono sul suo cammino affinché possa svelare al giovane la condizione dell'uomo. Il grande successo della Leggenda di Barlaam e Josafat, evidente adattamento della storia della conversione del Budda, tradotto in quasi tutte le lingue romanze e ancora, un secolo più tardi, alla base della cornice narrativa del Libro de los Estados di Juan Manuel, segna un punto a favore dell'originale associazione di Baltrusaitis. In questa teoria troverebbe dunque la sua giustificazione anche la figura dell'eremita come personaggio fondamentale dell'Incontro: lo studioso mostra un accattivante parallelo tra un'immagine proveniente dall'Asia Centrale e un affresco della basilica inferiore di Assisi (figg. 5-6). Entrambe ritraggono un monaco insieme a uno scheletro, ma la seconda precede la prima di addirittura quattro secoli: potrebbe dunque trattarsi dell'esordio iconografico, in chiave inizialmente ridotta, del nostro tema. Le suggestioni di Baltrusaitis si spingono oltre: i tre progressivi stadi di decomposizione dei cadaveri rappresentati negli affreschi del '300 presenterebbero reminiscenze di una relazione buddista, peraltro rarissima, che descriveva i nove stadi di decomposizione del corpo. I tre corpi, visti in tre stadi ne sarebbero una rappresentazione compendiaria. E' più ragionevole pensare che i tre diversi stadi stiano invece soltanto ad illustrare il processo della distruzione della morte, secondo una disposizione cronologica e didattica scandita sul numero tre, il magico numero delle fiabe e della trinità, che da sempre ha avuto una forte incidenza nella storia della cultura europea occidentale. La più cauta e rigorosa Chiara Frugoni non subisce il fascino delle suggestioni orientali, ma propende per un'origine francese autoctona, partendo dalle analogie con le esperienze artistiche più tradizionali e vicine: alla base potrebbero esserci suggestioni drammatiche, come nel caso della Danza Macabra (come vorrebbe anche Mâle), oppure motivi nati in epoca romana o da essi evolutisi, che hanno via via perso il loro valore epicureo, caricandosi della greve sensibilità ascetica cristiana. La questione rimane comunque apertissima. 4. L'INCONTRO IN ITALIA Abbiamo visto come il "tipo francese" dell'Incontro si sia inizialmente diffuso, a partire dalle miniature, negli affreschi dell'Italia angioina. Tra gli esempi più antichi, che presenta-no una scena evidentemente imparentata con quelle delle miniature francesi, ci sono infatti gli affreschi di Melfi (fig. 3) ed Atri (anche se qui la rappresentazione presenta già una figura di orante assimilabile al futuro eremita, fig. 4). Con l'inizio del '300 si definisce la figura dell'eremita, destinata ad assumere un ruolo preponderante nell'arco di pochissimi anni: nei cicli di affreschi di Vezzolano (fig. 7), Subiaco (fig. 8) e soprattutto Pisa (figg.9-14), ad esempio, ma anche su polittici, tavole e miniature di libri d'ore. In Italia, dove la diffusione e l'influenza di ordini mendicanti e predicatori è particolarmen-te forte, la Chiesa trova presto il modo di disciplinare le suggestioni orride e spettrali giocando proprio sull'ultimo arrivato. La figura dell'eremita, molto familiare all'uomo del medioevo, ricorda con la sua sola presenza la vanità della vita terrena; nell'Incontro, però, il suo ruolo è ben più importante. Suo compito primario, infatti, è moralizzare e spiegare il significato del racconto in modo univoco, togliendo spazio a qualsiasi interpretazione errata o quanto meno ambigua. Quasi sempre è accompagnato da cartigli che spiegano il senso dell'apparizione, occupando quel ruolo di mediatore privilegiato della Rivelazione che da sempre il clero cattolico si è arrogato: il potenziamento progressivo del suo ruolo nella rappresentazione è sicuramente frutto della progressiva ingerenza nell'arte da parte delle committenze religiose. Con l'inizio del 1400, l'incipiente movimento umanista provoca l'inattesa rivincita degli scheletri sui cadaveri decomposti. Il riavvicinamento a una sensibilità classicheggiante segna dapprima una semplificazione dei tratti morbosi a vantaggio dei dettagli più graziosi degli abiti e dell'azione venatoria, quindi il ritorno delle larvae nella rappresentazione, ai danni dei cadaveri che un secolo prima si erano imposti sull'onda dell'irrazionalismo macabro: per coloro a cui stava a cuore il rispetto del corpo come tempio dello spirito, la rappresentazione truculenta dei morti non poteva più essere accettabile. Vale la pena di notare come anche la Danza della Morte presenti un simile sviluppo: negli ultimi decenni del 1400, gli orribili sosia cadaverici dei vivi diventano anch'essi scheletri e si fissano definitivamente in questa forma. Il tema dell'Incontro dei tre vivi e dei tre morti tende così ad addolcirsi, avviandosi verso il pressoché totale esaurimento e, quindi, all'oblio. La Danza Macabra e il Trionfo avranno vita più lunga, anche grazie a una più consistente tradizione letteraria da un lato e una più spettacolare rappresentabilità dall'altro. 5. IL TRIONFO DELLA MORTE DEL CAMPOSANTO DI PISA Le fonti storiche del XV secolo ricordano che il duca di Berry, nel 1408, fece scolpire l'Incontro sul portale della chiesa del Cimitero degli Innocenti a Parigi; pochi anni più tardi, nel 1424, sulle pareti del portico dello stesso camposanto, fu realizzato il famoso affresco della Danza della Morte. Si sa che il cimitero fu per lungo tempo, oltre che un luogo di preghiera e meditazione, un insostituibile punto di ritrovo per gli appartenenti di tutte le classi sociali: fiera della morte e ideale palcoscenico per le infuocate rampogne dei predicatori, con gli ossari in bella vista e le terribili immagini della Danza, ma anche cornice per incontri, affari e svago. Entrambe le opere sono andate perdute, ma ancora oggi rimane un luogo capace di ricreare e cogliere l'atmosfera che doveva regnare nel Cimitero degli Innocenti: il Camposanto di Pisa, che, nel suo imponente ciclo di affreschi del Trionfo della Morte, offre anche la più bella e significativa rappresentazione del tema dell'Incontro. Come il Cimitero degli Innocenti, il Camposanto, decorato negli anni Trenta del Trecento, aveva un doppio statuto di luogo pubblico (voluto e commissionato dalla città per i suoi cittadini) e di luogo intimo di meditazione e raccoglimento. Oggi, in seguito ai danni riportati a causa dei bombardamenti del 1944, gli affreschi sono stati isolati, e quindi decontestualizzati, in una sala a parte del complesso architettonico del Camposanto, ma le fotografie (figg. 9 e 10) possono ancora testimoniare la sua originaria posizione lungo il porticato, in perfetta analogia con gli affreschi del cimitero parigino. Il recente restauro del ciclo, tralasciando i bordi rimasti dell'affresco, ha privato l'opera di un suo importante corredo ideologico: i cartigli e le didascalie. Alcuni erano scritti in latino ed altri in volgare, ed è da notare come i primi fossero posti in alto e i secondi in basso, come a rispettare una precisa gerarchica linguistica. Gran parte di essi è andata perduta o è stata sacrificata dai restauratori, più attenti ai dettagli dei vari episodi che alla visione d'insieme dell'opera, anche per colpa di una tradizionale sfortuna critica delle scritte sugli affreschi, inaugurata nel XVI secolo da Giorgio Vasari. La stessa Danza del Cimitero degli Innocenti recava numerose scritte, che servivano ad integrare e guidare l'interpretazione delle immagini, la cui importanza nella strategia comunicativa dell'intera opera non è assolutamente trascurabile. A questo proposito, Lina Bolzoni sottolinea l'influenza della predicazione domenicana nella Pisa tra la fine 1200 e l'inizio del 1300, trovando appunto un'unità di intenti e una precisa corrispondenza tematica tra le raccolte di prediche del tempo e i nostri affreschi, dipinti negli anni '30 del '300, che si rivelano parte di un più ampio programma di moralizzazione della cittadinanza pisana, guidato dai domenicani. Osservando in dettaglio l'episodio dell'Incontro (figg. 11 e 12) , si nota infatti come esso si presenti con alcune si-gnificative varianti dovute a precise scelte ideologiche: qui, più che altrove, si sottolinea la funzione di mediazione dell'eremita, non più solo, ma attorniato da altri anacoreti, persi in un paesaggio desertico che doveva ulteriormente rafforzare il messaggio della fuga dal mondo, ma anche, allo stesso tempo, collegare questi eroici asceti ai membri dell'ordine domenicano. Gli stessi cartigli dovevano riecheggiare le loro coinvolgenti prediche. Immagine e voce, parola detta e parola scritta, latino e volgare: la comunicazione si articola in un grande codice multimediale e su diversi livelli, per rivolgersi con la massima efficacia a tutte le classi sociali. Gli affreschi di Pisa contengono la rappresentazione più bella del nostro tema, anche grazie alle non comuni doti artistiche del suo pittore, Buonamico Buffalmacco. Un grande artista, infatti, difficilmente si limita ad eseguire gli ordini dei committenti, ma, agendo dall'interno, sfonda le barriere impostegli e sfoga la sua energia inventiva. Le figure dei tre vivi si caricano di dettagli tanto squisiti e preziosi che l'orrore degli altrettanto vividi dettagli dei cadaveri si stempera alla luce della loro grazia; le stesse figure degli eremiti in secondo piano risultano svuotate di ogni aura di eroismo. Di fatto, nel nostro episodio i veri protagonisti diventano così i vivi, in paradossale contrasto con il contenuto di cartigli e scritte volute dai domenicani. 6. ALTRE IMMAGINI DELLA MORTE E' inevitabile, in conclusione, spendere alcune parole su altre immagini della morte della fine del Medioevo, vedendone le principali corrispondenze e differenze rispetto al tema analizzato in questo mio lavoro. Il Ciclo del Trionfo della Morte del Camposanto di Pisa si completa con il più tradizionale tema del Giudizio Universale, finito in secondo piano rispetto alle nuove immagini, ma mai del tutto obliterato. Qui le immagini degli eletti e dei dannati non presentano mai scheletri o corpi putrescenti, ma corpi ideali e perfetti. Il significato di ammonimento è racchiuso nella visione della loro condizione eterna e nella loro ricompensa: la gioia dei beati, ammessi alla contemplazione di Dio, contro le atroci sofferenze dei dannati, sottoposti a pene basate sul principio dantesco del contrappasso. Il tema dell'Incontro mette invece in scena morti scarnificati, che con il loro stesso aspetto possano corroborare le ammonizioni a ben operare, e preannuncia per certi versi l'immagine della Morte più potente e diffusa, la Danza Macabra, nata e diffusasi anch'essa in Francia pochi decenni dopo la fissazione del nostro tema e destinata ad avere enorme successo nel XV secolo. Se ci fermiamo alla originaria versione dell'Incontro, notiamo che entrambe le rappresentazioni mettono l'uomo di fronte a un suo ideale "doppio" morto, che sconvolge il vivo rivolgendogli la parola. Ma mentre l'incontro si ferma all'ammonimento, la Danza Macabra si spinge oltre: i morti aggrediscono verbalmente i vivi, facendosi beffe di loro e prendendoli per mano, coinvolgendoli nella Danza che li porterà nel mondo della morte e della decomposizione. Il tema si carica anche della forza di denuncia tipica della satira degli stati, sottolineando l'azione livellatrice della morte, che ignora le differenze sociali e falcia tutti indistintamente. In Italia, la rappresentazione della Danza Macabra si diffonde nelle zone di influenza francese, ma sulla sua strada trova ben presto un formidabile avversario: il Trionfo della Morte, destinato a diventare l'immagine della morte più diffusa nell'Italia del XIV secolo. Sorto come illustrazione dell'omonima opera di Francesco Petrarca, Il Trionfo rinuncia alla presenza dei morti per fare posto alla Morte in persona: il ciclo di affreschi del Camposanto di Pisa è imperniato sulla figura maestosa e orribile allo stesso tempo di una megera in picchiata sull'umanità ignara (fig. 14). Il volto di una vecchia strega, le mani e i piedi artigliati: l'aspetto demoniaco della Morte è in violento contrasto con la splendida e boccaccesca brigata che popola la destra dell'affresco (fig. 13). Lo stuolo di angeli e demoni alle spalle della Morte, spesso recanti utili ammonimenti nei loro cartigli, suggella la potenza ammonitrice di questa rappresentazione, della quale il nostro tema, inserito in posizione simmetrica rispetto alla brigata, non è altro che una ripetizione in tono minore, una play-within-the-play nella grande tragedia del Trionfo. Vorrei concludere citando alcune battute tratte dal Settimo Sigillo di Ingmar Bergman, film capace di ricreare alla perfezione l'atmosfera psicologica suscitata dalle immagini della Morte nell'Autunno del Medioevo. In un dialogo si concentra il senso non solo della Danza Macabra, ma di tutte le visioni della Morte che hanno popolato l'immaginario degli uomini del Medioevo: saranno le ipotetiche voci di due di loro, non la mia, a chiudere questa piccola trattazione. JÖNS: Che cosa dipingi? PITTORE: La Danza della Morte. JÖNS: E quella è la morte? PITTORE: Sì, che danza trascinandosi dietro tutti quanti. JÖNS: Perché fai questi sgorbi? PITTORE: Perché penso che bisogna ricordare alla gente che tutti dobbiamo morire. JÖNS: Non servirà certo a renderla più felice. PITTORE: E perché diavolo si dovrebbe sempre cercare di renderla felice? A volte si può anche spaventarla un po'. JÖNS: Chiuderanno gli occhi e non guarderanno il tuo dipinto. PITTORE: Puoi star sicuro che lo guarderanno. Un teschio è quasi più interessante di una donna nuda. JÖNS: E se li spaventi. PITTORE: Li fai pensare. JÖNS: E se pensano. PITTORE: Si spaventano ancora di più. JÖNS: E così correranno a gettarsi in braccio ai preti. PITTORE: Questo non mi riguarda. (.) Io mi limito a mostrare le cose come sono, poi ognuno può fare quel che vuole. Per una analisi della fortuna iconografica del tema cfr. in questo stesso sito Anna Rita Vizzari, Un dipinto unico in Sardegna: l'Incontro dei tre vivi e dei tre morti Luca Rognoni 7. BIBLIOGRAFIA Piero Adorno, L'arte italiana. Vol. I, tomo II. Dall'alto medioevo all'arte gotica. Firenze, D'Anna, 1992 Jurgis Baltrusaitis, Il Medioevo fantastico. Antichità ed esotismi nell'arte gotica. Capitolo VII.II. Danze macabre e cadaveri decomposti (pp. 252-264). Milano, Adelphi, 1977 Ingmar Bergman, Il Settimo Sigillo (sceneggiatura originale). Milano, Iperborea, 1994 Luciano Bellosi, Buffalmacco e il Trionfo della Morte. Torino, Einaudi, 1974 Lina Bolzoni, La rete delle immagini. Predicazione in volgare dalle origini a Bernardino da Siena. Capitolo I. Gli affreschi del Trionfo della Morte del Camposanto di Pisa e la predicazione domenicana (pp. 3-38). Torino, Einaudi, 2002 Johan Huizinga, L'Autunno del Medioevo. Roma, Newton e Compton, 1992 Petronius Arbiter, Satiricon. Capitolo XXIV (pp. 46-48). Milano, Garzanti, 1995 Chiara Settis Frugoni, Il tema dell'Incontro dei tre vivi e dei tre morti nella tradizione medievale italiana. In Atti dell'Accademia dei Lincei, CCCLXVI, s. VIII, f. XIII (pp. 145-251). Roma, 1967. |