Metamorfosi di un motivo oraziano nel sonetto Sonar bracchetti di Dante. (Appunti per uno studio di Orazio in Dante) 1. Cenni su Orazio nel medioevo Nel medioevo Orazio era annoverato nel canone dei poeti studiati nelle scholae. Konrad de Hirsau, prima metà del secolo XII, riporta un elenco di 21 poeti/grammatici/scrittori religiosi, non scelti a caso, ma con un evidente e chiaro percorso didattico/artistico (iniziando da trattatisti di grammatica latina [es. Donato], passando poi ad autori di argomento religioso [es. Sedulio, Prospero d'Aquitania, Theodulo ecc.] e infine ai poeti antichi ). Orazio occupa in questo canone il 15° posto; al 18° troviamo Omero, al 21° (ultimo) l'"eccelso" Virgilio. Konrad raccomanda anche lo studio di tutte le opere di Orazio, comprese le Odi e gli Epodi, poco letti in generale. Evrad d'Allemand ci offre nel suo poema Laborintus (composto tra il 1212 e il 1280) un elenco di 35 autori. Di Orazio, che occupa il 10° posto, cita solo le Satire. 2. Dante e Orazio Orazio, per Dante, è essenzialmente poeta satirico. Nel limbo (Inferno IV 78 segg.) Dante incontra i poeti antichi,"la bella scola". Con lui è Virgilio e a loro due si fanno incontro Omero, Orazio, Ovidio, Lucano. Tra questi, dopo Omero, Orazio: Quelli è Omero poeta sovrano; l'altro è Orazio satiro che viene... Orazio rappresenta la satira romana ("castigat ridendo mores"), intesa come lezione di morale, che avrà molti imitatori a partire dal secolo XII. Nel medioevo all'autorità di uno scrittore si affidava un preciso ruolo didattico, accanto al riconoscimento di particolari doti di stile di lingua e di ritmo. L'adesione al poeta era simultaneamente sia etica che estetica. È risaputo che Dante conosceva l'Epistula ad Pisones (cioè l'Ars poetica), citata: nell'Epistula XIII Cani Grandi de la Scala: "Similiter differunt in modo loquendi: elate et sublime tragedia; comedia vero remisse et humiliter, sicut vult Horatius in sua Poetria, ubi licentiat aliquando comicos ut tragedas loqui, et sic e converso: interdum tamen et vocem comedia tollit, iratusque Chremes tumido delitigat ore; et tragicus plerumque dolet sermone pedestri Telephus et Peleus etc.[1] Et per hoc patet quod comedia dicitur praesens opus. Nam si ad materiam respiciamus, a principio horribile et fetida est, quia Infernus [...]" [vedi anche infra] nel De vulgari eloquentia, liber secundus, cap. IV, 4-5: "Ante omnia ergo dicimus unumquemque debere materie pondus propriis humeris coequare [...]. Hoc est quod magister noster Horatius praecepit, cum in principio poetrie Sumite materiam dicit [...][2] nel Convivio, trattato secondo, cap. XIII, 10, "[.] In tanto quanto certi vocabuli, certe declinazioni, certe costruzioni sono in uso che già non furono, e molte già furono che ancor saranno: sì come dice Orazio nel principio della poetria, quando dice: Molti vocabuli rinasceranno che già caddero[3] nella Vita nova, cap. XXV, 9: "Per Orazio parla l'uomo a la scienzia medesima sì come ad altra persona; e non solamente sono parole d'Orazio, ma dicele quasi recitando lo modo del buon Omero, quivi ne la sua Poetria: Dic michi, Musa, virum.[4] Tuttavia la conoscenza delle opere di Orazio da parte di Dante non è paragonabile a quella che egli aveva delle opere di Virgilio o di Ovidio. Oltre alle Odi e agli Epodi, sembra che Dante non abbia letto nemmeno le Satire e le Epistole. Tra gli autori del tempo di Dante sicuramente letti da lui, le Odi di Orazio erano conosciute da Segiberto di Gembleaux, le Satire da Segiberto e da Andrea Cappellano, le Epistole da Bernardo di Chiaravalle, Andrea Cappellano e Segiberto. Le poetriae conosciute da Dante (es. Ars versificatoria di Matteo di Vendôme) danno ampio spazio all'Ars e assai poco alle Satire e alle Epistole e anche meno alle Odi. Dante non conosce di Orazio, se non l' Ars: Certo è però che, almeno per fama, attraverso le citazioni [cioè la tradizione indiretta] delle Artes, delle Poetrie, degli Accessus, delle Enciclopedie, e di quegli autori che aveva più familiari, sa che Orazio era stato anche autore lirico e satirico; nel Chronicon di S. Girolamo (o nei Chronica derivati) poteva leggere di "Horatius Flaccus satyricus et lirycus poeta" [Gir. Chorn. Ad Ol. 178, 4].[5] 3. Arte allusiva Giorgio Pasquali, uno dei maggiori filologi classici italiani, in un articolo apparso nel 1942, compreso poi nel volume Pagine stravaganti,[6] mette a fuoco il significato di "arte allusiva". Scrive Pasquali: "le allusioni non producono l'effetto voluto se non nel lettore che si ricordi chiaramente del testo cui si riferiscono"; e aggiunge: "quando Gabriele d'Annunzio nei Pastori scrive: O voce di colui che primamente Conosce il tremolar della marina, io non sono sicuro che si ricordi del lieto grido dei Greci di Senofonte nello scoprire il mare, ma sono certissimo che esige che uno s'accorga come egli abbia incastonato in una poesia di timbro così differente un verso del primo canto del Purgatorio; in altre parole come abbia saputo evocare dinanzi all'Adriatico selvaggio l'infinito mare australe che cinge l'isoletta del Purgatorio".[7] Il sonetto Sonar bracchetti, visto alla luce dell'arte allusiva e comparato con l'ode I 1 di Orazio presenta: una riproposizione dei motivi oraziani dell'ode una metamorfosi di questi motivi che vengono assorbiti dalla poetica del "dolce stil novo". 4. Analisi del sonetto "Sonar bracchetti" di Dante e sua comparazione con Orazio "Odi" I 1. Testo del sonetto: Sonar bracchetti, e cacciatori aizzare, Lepri levar, ed isgridar le genti, e di guinzagli uscir veltri correnti, per belle piagge volgere e imboccare assai credo che deggia dilettare libero core e van d'intendimenti. Ed io, fra gli amorosi pensamenti, d'uno sono schernito in tale affare; e dicemi esto motto per usanza: "Or ecco leggiadria di gentil core, per una sì selvaggia dilettanza lasciar le donne e lor gaia sembianza". Allor, temendo che non senta Amore, prendo vergogna, onde mi ven pesanza. Testo dell'ode: Maecenas atavis edite regibus, o et praesidium et dulce decus meum; sunt quos curriculo pulverem Olympicum collegisse iuvat metaque fervidis evitata rotis palmaque nobilis terrarum dominos evehit ad deos; hunc, si mobilium turba Quiritium certat tergeminis tollere honoribus; illum, si proprio condidit horreo quicquid de Lybicis verritur areis. Gaudentem patrios findere sarculo agros Attalicis condicionibus nunquam demoveas, ut trabe Cypria Myrtoum pavidus nauta secet mare; luctantem Icariis fluctibus Africum mercator metuens otium et oppidi laudat rura sui; mox reficit rates quassas indocilis pauperiem pati. Est qui nec veteris pocula Massici nec partem solido demere de die spernit, nunc viridi membra sub arbuto stratus, nunc ad aquae lene caput sacrae. Multos castra iuvant et lituo tubae permixtus sonitus bellaque matribus detestata. Manet sub Iove frigido venator tenerae coniugis immemor, seu visa est catulis cerva fidelibus, seu rupit teretis Marsus aper plagas. Me doctarum hederae praemia frontium dis miscent superis, me gelidum nemus nympharumque leves cum Satyris chori secernunt populo, si neque tibias Euterpe cohibet nec Polyhymnia Lesboum refugit tendere barbiton. Quodsi me lyricis vatibus inseres, sublimi feriam sidera vertice. Il sonetto può dividersi in due sezioni: la prima parte, vv. 1-6, riprende il motivo oraziano delle varie opzioni di vita degli uomini, in particolare la sezione del philedonos bios dell'ode I 1, vv. 19-28 [caratterizzato dalla ricerca del piacere (edonè) ], che descrive: l'epicureo, vv. 19-22 l'appassionato della guerra, vv.23-25 l'appassionato della caccia, vv. 25-28. Dante si sofferma però soltanto sulla figura del venator. la seconda parte, vv. 7-14, propone i motivi del "dolce stil novo" e dell'amore, in contrapposizione all'esercizio della caccia. Si confrontino le rispondenze: sonetto: v. 1 Sonar bracchetti, e cacciatori aizzare, v. 2 lepri levar, ed isgridar le genti v. 3 e di guinzagli uscir veltri correnti ode: v. 27 seu visa est catulis cerva fidelibus sonetto: v. 1 cacciatori (plur.) ode: v. 26 venator (sing.) sonetto: v. 4 assai credo che deggia dilettare ode: vv. 3-4 sunt quos. iuvat v. 23 Multos castra iuvant. sonetto: v. 12 [i cacciatori] lasciar le donne e lor gaia sembianza ode: v. 26 venator tenerae coniugis immemor (sing.) La tematica del "dolce stil novo" si evidenzia nel sonetto in modo specifico nel "gentil core" del v. 10 e nell'"Amore" del v. 13 ("Amore e cor gentile" è il binomio della poetica del " dolce stil novo". Mentre al v. 6 "libero cor e van d'intendimenti" indica le diverse occupazioni che distolgono dall'amore sublimante per la donna. 5. Conclusione Anche se non abbiamo la certezza della lettura diretta da parte di Dante dell'ode di Orazio, in questo sonetto giovanile sembra di sentire echi oraziani (soprattutto del motivo delle diverse aspirazioni degli uomini), che servono da premessa al passaggio a una nuova concezione di vita e di poesia, che sarà poi fondamentale nelle opere successive. Vorrei concludere citando le parole di A. Jannucci (dal volume Dante e la "bella scola" della poesia. Autorità e sfida poetica, a cura dello stesso, Ravenna, Longo Editore, 1993): "La lettura dantesca dei classici è [...] mediata e a volte parziale, talora pure frammentaria. [...] Questo tipo di approccio [alla comprensione di Dante] illumina considerevolmente un testo densamente allusivo come quello di Dante, chiarendo singoli passi ed anche la rappresentazione di una scena o di un paesaggio particolari". - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - |