Matteo di Dino Frescobaldi, Rime. Edizione critica a cura di Giuseppe
Renzo Ambrogio, Firenze, Casa Editrice Le Lettere, 1996 (Università
degli studi di Torino. Fondo di studi Parini-Chirio. Filologia. Testi
e studi. 6)
È uscita a Firenze
per i tipi della Casa Editrice Le Lettere ledizione critica delle
Rime di Matteo Frescobaldi curata da Giuseppe Renzo Ambrogio. Il
volumetto rientra nella sezione Filologia. Testi e studi delle
pubblicazioni del Fondo Parini-Chirio dellUniversità di Torino.
Questa collana sembra riservare unattenzione particolare ai testi
volgari del Trecento italiano contando tra i suoi titoli, oltre le poesie
del Frescobaldi, anche ledizione critica delle Rime di Cino
Rinuccini preparata da Giovanna Balbi (Firenze, Casa Editrice Le Lettere,
1995) 1 e il nuovo testo critico delle Novelle di Giovanni Sercambi
stabilito da Giovanni Sinicropi (Firenze, Casa Editrice Le Lettere, 1995)
2.
Il libro si
apre con la Bibliografia (Edizioni [di Matteo Frescobaldi],
Edizioni di riferimento e Studi pp.10-20). Segue la Nota biografica
e culturale (pp.21-29) che schizza il profilo biografico di Matteo
Frescobaldi affrontando il problema della sua identificazione e inquadra
concisamente lautore allinterno della produzione lirica tardo-stilnovista
della prima metà del Trecento (notazioni più puntuali sono riservate al
commento dei singoli componimenti).
Ambrogio sottolinea soprattutto il debito dantesco, cavalcantiano e paterno
(era figlio di Dino Frescobaldi) della poesia di Matteo, identificabile
non solo in specifiche movenze ma anche nella ripresa di figure femminili
topiche, curiosamente antitetiche. Come ricordato dall'Editore la giovinetta
sdegnosa delle ballate del servaggio amoroso (XVII,
XVIII, XIX, XX, XXI, XXIII 3) è infatti motivo di ascendenza dantesca
(ballate LXXXVII, LXXXVIII e sonetto LXXXIX, 2 4) assunto dal padre Dino
come immagine centrale nelle rime (sonetti X, XI, XIII, XIV 5). La donna
sotto nero manto dei sonetti VII e VIII, caratterizza invece
i sonetti di Cino CXII-CXIV, CXVI-CXVII 6 e gode di un particolare favore
tra i poeti trecenteschi (ancora Dino, canzone V, 80 7; Niccolò Soldanieri,
Giovanni Pigli, Lorenzo Moschi 8), verosimilmente legato alla fortuna
del rimatore pistoiese 9. Appunto in considerazione della grande diffusione
che la lirica ciniana conobbe nel primo Trecento, Ambrogio tende a giudicare
levidente e massiccia presenza del poeta nelle rime di Frescobaldi
non tanto una ripresa diretta e consapevole del modello, ma piuttosto
una conferma dellaffermazione di quel linguaggio medio che
se è, in senso lato, di ascendenza stilnovistica, ha le sue principali
e più immediate matrici proprio nella poesia di Cino10 .
L'Editore infine nota come in accordo con leclettismo tipico della
prima generazione lirica trecentesca ritornino nelle rime di Frescobaldi
accanto alla materia amorosa anche il genere comico-realistico (sonetti
V, VI, XI [con alternanza di modi comici e stilnovistici addirittura allinterno
dello stesso componimento, tra quartine e terzine cfr p.29], XII) e politico.
La canzone I, il componimento forse più famoso di Frescobaldi, come prova
il fatto che conti il numero maggiore di attestazioni 11, la II, caso
interessante e poco diffuso di palinodia per le rime della precedente,
così come la ballata XVI si iscrivono infatti nel filone della poesia
civile, legate come sono nei temi trattati e molto probabilmente anche
nella genesi compositiva ad episodi della storia fiorentina (cfr pp.24-25).
Il capitolo
I codici (pp.31-53) presenta lindice dei componimenti
dati dalla tradizione a Matteo Frescobaldi (pp.31-33) 12, descrive i manoscritti
(pp.34-38), fornisce la tavola delle carte o pagine in cui nei singoli
testimoni si leggono le poesie (pp.39-40) e affronta infine il problema
delle attribuzioni e dei rapporti tra i codici (pp.41-53).
Rispetto alle precedenti edizioni Ambrogio accresce il corpus frescobaldiano
con il sonetto finora inedito Voi che guardate questo chè
qui morto (XIII), grazie allattribuzione concorde a Matteo
segnalata dagli incipitari di Carboni 13 del Barberino latino 3697 e del
Vaticano latino 4830, che si aggiungono così al numero dei testimoni.
Altra innovazione è la rivalutazione degli unica del Magliabechiano
VII 993, esclusi da Corsi nei Rimatori 14 perché giudicati genericamente
poco sicuri. Vengono così recuperate a Matteo le canzoni Amor, dacché
ti piace pur chio dica (III) e Amico che domandi e vuo
sapere (IV), la cui paternità frescobaldiana sembra essere confermata
da ragioni metriche. Come le più famose Cara Fiorenza mia, se ll'alto
Iddio (I) e Molto mallegro di Firenze or io (II)
presentano infatti una sirma di tre versi, misura eccezionale nel XIV
secolo perché sperimentata solo in questi quattro componimenti e nellanonima
Ai, Pisa, vitopero delle gente 15. La particolarità assume
quindi il valore di tratto caratteristico della poesia dellautore,
permettendo ad un tempo il riconoscimento della sua mano e fornendo elementi
per una definizione di stile.
Grazie ai recenti studi di Esposito e di Stoppelli 16, Ambrogio(p.42)
attribuisce inoltre con buona probabilità a Giovanni Fiorentino gli otto
sonetti (40-47) dati a Matteo dal Vaticano latino 3213, cc.501r-503r ma
adespoti nel Magliabechiano II II 40, cc.217v-219r. Già Corsi 17, citando
Volpi 18, avanzava questa soluzione. Per questo Accurruomo,
accurruomo, i son rubato, Deh, non fuggir quel
che ttu hai più volte, E mi par chiaro veder che nel
verno, Io veggo il tempo della primavera, La bella
istella che mi regge e guida, O Anfione, o Narciso novello
venivano prudentemente indicati tra le rime dubbie, mentre Amor,
fa lanno nella primavera e Deh, quanto vien che vuol
seguire amore erano decisamente esclusi per levidente imitazione
della canzone Ubertiana Iguardo in fra lerbette per
li prati 19, giudicata più conveniente ai modi di Ser Giovanni che
a quelli di Matteo.
Lincertezza del guidizio stilistico e della documentazione manoscritta,
che non fornisce altre attribuzioni e a volte neppure altre attestazioni,
giustifica lEditore nellassumere un atteggiamento di forte
cautela nei confronti di alcuni componimenti pubblicati come dubbi, anche
se considerati da Corsi, per validi motivi interni, non ascrivibili a
Frescobaldi.
Si tratta delle ballate Donna, dove dimora (d.XXXVIII) e No.mmi
conforta lo sperar tornare (d.XXXVII), che per argomento, stile,
metro e lingua possono effettivamente sembrare di fattura duecentesca,
come ammette lo stesso Ambrogio, e della canzone Donna gentil, nel
tuo vago cospetto (d.XXV), con riferimenti al Ninfale fiesolano
e al Teseida, opere composte verosimilmente tra il 1339 e il
1346, e dunque difficilmente conosciute da Matteo, morto nel 1348 20.
Analoghe ragioni di prudenza portano l'Editore a collocare tra le rime
incerte i sonetti comuni al Vaticano latino 3213 e al Magliabechiano II,
II 40 (d.XXVI-d.XXXV), sui quali Corsi non si pronuncia 21, e ad riconoscere
invece come autentici in assenza di testimonianze contrarie gli unica
vaticani XIV 22 e XV.
Ambrogio si muove quindi con cautela nellintricata situazione testuale,
ma non esita a accreditare la via minore (p.47) delle poche
e tarde attestazioni fornite dal Barberino latino 3679, dal Laurenziano
rediano 184, dal Vaticano Chigiuano L IV 131 e dal Vaticano latino 4830
e soprattutto a porre in nuova luce la sezione frescobaldiana del Magliabechiano
II II 40, (cc.220r-222r), fortemente svalutata invece da Li Gotti 23 nellunico
contributo fino ad oggi interamente dedicato alla tradizione delle rime
di Matteo Frescobaldi.
L'edizione commentata
dei singoli componimenti ("Rime", pp.55-105; "Rime
dubbie", pp.107-127) è completata da un "Repertorio lessicale"
(pp.129-132).
1 Recensione
di Annalisa Comes in Anticomoderno. II. La sestina, Roma, Viella,
1996, pp.337-340
2 Si tratta di una revisione delledizione curata dal medesimo autore
per Laterza nel 1972 alla luce di nuovi approfondimenti e della polemica
con Luciano Rossi, cui si deve una diversa ricostruzione critica del Novelliere
(Roma, Salerno, 1974). Per i termini della questione cfr la recensione
di Luciano Rossi alla prima edizione Sinicropi in Cultura Neolatina,
XXXII,1972, pp.168-179 e Id., Ritorno al testo del Sercambi,in
Filologia e Critica, XI, 1980, pp.263-292 nonché Sinicropi G.,Torniamo
al testo del Sertcambi, in Atti e Memorie dellAccademia
Patavina di Scienze, Lettere ad Arti, XCV, (1982-1983), Parte III:
Classe di Scienze Morali, Lettere ed Arti, Padova, Società Cooperativa
Tipografica, 1984, 209-260 e l'introduzione in G. Sercambi, Novelle.
Nuovo testo critico con studio introduttivo e note a cura di Giovanni
Sinicropi, Firenze, Casa Editrice Le Lettere, 1995.
3 Per i componimenti di Matteo adotto la numerazione dell'edizione Ambrogio.
4 Dante Alighieri, Rime, a cura di Gianfranco Contini, Torino, Einaudi,
1946
5 Dino Frescobaldi, Canzoni e sonetti, a cura di Furio Brugnolo,
Torino, Einaudi, 1984
6 Poeti del Dolce stil novo, a cura di Mario Marti, Firenze, Le
Monnier, 1969
7 Dino Frescobaldi, Rime, op. cit.
8 cfr Rimatori del Trecento, a c. di Giuseppe Corsi, Torino, U.T.E.T.,
1969, p.79, n.17 e Pasquini E., Recensione a Corsi, in Studi
e Problemi di critica testuale, III, 1971, p.233. Corsi ricorda come
antecedente anche il tema topico dellamore delle vedove, trattato
da Andrea Capellano, Trattato dAmore (Andrae Capellani
Regii francorum De Amore libri tres), testo latino del secolo XII con
due traduzioni toscane inedite del secolo XIV, a c. di Salvatore Battaglia,
Roma, Perrella, 1947, I, vi H, e Boccaccio per il quale rimanda a Branca
V., Boccaccio Medievale e nuovi studi sul Decameron, Firenze, Sansoni,
1981, p.177, n.65; p.181, n.86. Manca purtroppo ancora uno studio complessivo
di questa come dellaltra figura (la giovinetta sdegnosa),
che constestualizzando le immagini allinterno dellopera degli
autori evidenzi nei diversi adattamenti la vitalità dei due topoi.
9 Sul ruolo di Cino quale mediatore e anello di raccordo tra la poesia
stilnovistica e i poeti del Trecento cfr Balduino A., Cino da Pistoia,
Boccaccio e i poeti minori del Trecento, Firenze, Olschki, 1984; De
Robertis D., Definizione dello stil novo, in LApprodo,
III, 1, 1954, entrambi ricordati dall'Editore.
10 Balduino A., Cino da Pistoia, Boccaccio e i poeti del Trecento,
op. cit., pp.172-174. La citazione è di Ambrogio, p.27, n.25.
11 Come già segnalato in Rimatori del Trecento, op. cit., p.84,
n.27 oltre che nei manoscritti Magliabechiano II II 40, c.220r, Marucelliano
C 152, c.77v, Vaticano Latino 3213, cc.500r-v e Vittorio Emanuele 1147,
c.27r la canzone figurava anche nel codice posseduto da Giovanni Maria
Barbieri, cfr Massera A., "Ancora dei codici di rime volgari adoperati
da G. M. Barbieri", in Studi Medievali, II, 1906, pp.29-32.
Ambrogio, p.45, n.24, indica inoltre che se ne legge un frammento pure
nella miscellanea Ubaldini, codice Vaticano Latino 4000, cc.202r e 351r.
12 Ad eccezione di quelli che secondo leditore contengono
rime attribuite senza fondamento a Matteo, o ad altro poeta o anonime,
p.40
13 Carboni F., Incipitario della lirica italiana dei secoli XIII e
XIV, I, Biblioteca Apostolica Vaticana, Fondi Archivio San Pietro-Urbinate
latino, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1977,
p.418, num.4168; Id., Incipitario della lirica italiana dei secoli
XIII e XIV, I, Biblioteca Apostolica Vaticana, Fondo Vaticano latino,
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1980, pp.263-264,
num.3015
14 Rimatori del Trecento, op. cit., p.82
15 Come segnala giustamante Ambrogio, p.46, grazie al riscontro con Pelosi
A. La canzone italiana del Trecento, in Metrica, V,
1990, pp.3-162
16 Esposito E., Ser Giovanni Fiorentino, Il Pecorone. In appendice
i sonetti di donne antiche innamorate del ms. II, II, 40 della
Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Ravenna, Longo, 1974, in
part. pp.571-572; Stoppelli P., Malizia Barattone (Giovanni di Firenze)
autore del Pecorone, in Filologia e Critica, II, 1,
pp., in part. pp.12-13, n.33
17 Rimatori del Trecento, op. cit., p.83-84
18 Volpi G., Ser Giovanni Fiorentino e alcuni sonetti antichi,
in Giornale storico della letteratura italiana, XIX, 1892, p.335
e segg.
19 Rimatori del Trecento, op. cit., p.246
20 Riguardo alla paternità frescobaldiana di questa canzone Ambrogio ricorda
anche i giudizi in negativo formulati sulla base di motivi stilistici
da Li Gotti, E., Le rime di Matteo frescobaldi, in Restauri
trecenteschi, Palermo, Palumbo, 1947, p.122 e Volpi G., Il Trecento,
Milano, Vallardi, 1907, p.259 (II ed. corretta e accresciuta) nonché i
dubbi legati a ragioni metriche di Balduino A., Boccaccio, Petrarca
e altri poeti del Trecento, op. cit., p.249, n.2.
21 Solo Le nitidacque lucide e tranquille, d.XXXIV viene
menzionato tra gli apocrifi e attribuito a Lorenzo Cavalcanti, p.82 sulla
base della rubrica del Magliabechiano II II 40, c.215r
22 Dubbia invece per Corsi, Rimatori del Trecento, op. cit., p.83
23 Li Gotti E., Le rime di Matteo Frescobaldi, op. cit.
Teresa Nocita
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