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Einaudi

Grandi Opere

Arti e storia nel Medioevo

Introduzione 

Di Medioevo si parla molto, da molto tempo e in modi molto diversi. Talora additandolo come un periodo tra i più neri della storia dell'umanità (da cui espressioni come "le tenebre del Medioevo", "ripiombare nel Medioevo", "il Medioevo prossimo venturo" e simili), talora rimpiangendone l'idilliaco (o, piuttosto, idealizzato) paesaggio, i costumi e le usanze.

Ah! rendez-nous le moyen âge

Ses mours et son naïf langage

Ses fiers donjons et ses châteaux

Que peuplèrent preux et vidames

cantava nel 1832 Joseph Bard, un fervente seguace della duchessa di Berry che si trovava piuttosto a disagio nella monarchia borghese di Luigi Filippo, così come oltre un secolo dopo, in una Germania che nella ricostruzione del dopoguerra prendeva ad americanizzarsi, lo storico dell'arte ultraconservatore Hans Sedlmayr sognava l'incarnarsi della Gerusalemme Celeste nelle forme della cattedrale gotica.

Dai primi albori romantici a oggi immagini del Medioevo ora esaltanti ora tenebrose si sono avvicendate a ritmi alterni. Questo mentre la ricerca, quella storica, quella giuridica e via via quella economica, linguistica, letteraria, filosofica, storico-artistica, andava lentamente facendo luce, non senza molte dispute e rivendicazioni scioviniste, su forme e strutture, esperimenti, mentalità, modi di pensare e di vedere, di costruire e di progettare che si sono manifestati e intrecciati nel corso di quel lunghissimo tempo; su continuità e fratture, diversità e somiglianze, prospettive di avvenire e strade chiuse.

Comunque lo si voglia far incominciare, dal tramonto dell'impero romano d'Occidente o dalla renovatio carolingia, e quali che siano i parametri su cui ci si basa per ravvisarne la fine, il Medioevo occupa nella storia d'Europa uno spazio assai esteso. Ciò che spesso ne ostacola la comprensione è il considerare questo lungo periodo come un tempo unitario, e il non tener sufficientemente conto delle diversità che ci separano da esso nel modo di pensare, di sentire, di vedere, di strutturare le conoscenze, nel rapporto con il sacro e con il gioco, nella maniera di intendere il tempo e lo spazio, di muoversi e di viaggiare, di stabilire gerarchie e priorità.

Fin dall'inizio abbiamo pensato che i volumi di Arti e storia nel Medioevo non dovessero essere né una storia dell'arte medievale particolarmente aperta alla storia, né tanto meno una storia del Medioevo che facesse larga parte ai documenti figurati. Quest'opera doveva proporsi piuttosto di esplorare l'ampio terreno su cui le esperienze delle due discipline si incontrano; di affrontare questo lungo periodo accostando e incrociando situazioni diverse, illustrando interferenze e interazioni fra la vicenda delle espressioni artistiche e la storia sociale, politica, culturale dell'Occidente medievale, ponendo i problemi del ruolo che la produzione plastica, architettonica, figurata ha occupato nelle differenti fasi di questo tempo, dei rapporti che si sono sviluppati tra il pubblico - o meglio i pubblici - e le immagini.

Alla tentazione di ridurre o subordinare una linea di ricerca all'altra, di appiattire l'arte sulla storia o viceversa, di cercare le tracce di un improbabile rispecchiamento della storia nell'arte, si è preferito piuttosto pensare la società medievale dell'Occidente (Bisanzio non sarà trattato in sé, ma rimarrà sempre all'orizzonte quale punto di confronto, di riferimento, fonte di modelli e di ispirazione) come un contesto attivo, come un "campo", per usare un termine caro a Pierre Bourdieu. Un campo in cui hanno agito istituzioni ecclesiastiche e laiche determinanti - con la loro esistenza e le loro domande - per la produzione artistica; un campo in cui si sono intrecciati bisogni e attese di opere figurative e architettoniche, richieste e risposte, in cui le forme dell'immaginario collettivo hanno trovato un'eco e a loro volta un alimento nelle forme e nei soggetti della figurazione; un campo in cui hanno operato e interagito committenti, progettisti, autori di complessi programmi iconografici, artigiani e artisti dalle diverse competenze e in cui differenti pubblici hanno fruito, in modi variabili, di quelle che noi chiamiamo, con un termine che a quel tempo non aveva luogo, opere d'arte.

Un eminente storico dell'arte, Hans Belting, ha aperto un suo libro recente1 dichiarando che "la storia dell'immagine non deve essere confusa con la storia dell'arte" e distinguendo un'"era delle immagini", che coincide grosso modo con l'età medievale in cui l'immagine è oggetto privilegiato della pratica religiosa, da un'"era dell'arte" che arriva ai nostri giorni e che è quella dell'autonomia dell'artista, del precisarsi di un'idea dell'arte, dell'affermarsi del collezionismo. In questo modo è stata sottolineata la fondamentale differenza di funzioni che le opere figurate hanno svolto in questi due tempi che gli storici dell'arte hanno invece unificato sotto un denominatore comune, quello dell'artisticità, dell'opera d'arte e dell'artista. Tuttavia la differenza delle funzioni attribuite all'opera non modifica radicalmente l'azione del suo creatore, sia esso chiamato artifex o artista, e in questo senso sembra opportuna l'attenzione al suo operare, ai suoi prodotti, al tempo e allo spazio in cui nacquero, a coloro che li avevano commissionati, e sembra legittimo interrogarsi sui modi con cui furono visti, guardati e considerati. Tanto più che se non esisteva una concezione dell'arte simile a quella che è oggi corrente, molte testimonianze mostrano l'apprezzamento che suscitavano nei riguardanti, o quanto meno in alcuni di essi, la qualità dell'operare, il pregio delle materie, né mancano d'altra parte, dall'abate Gauzlinus a Federico II, esempi di collezionismo medievale.

L'impresa si articola in quattro volumi: il primo, Spazio Tempo Istituzioni è consacrato al quadro cronologico, spaziale e istituzionale della vicenda; il secondo, Del costruire, ai differenti aspetti della produzione artistica, agli artefici, ai committenti, ai programmi, alle tecniche; il terzo, Del vedere, ai pubblici, ai modi con cui si guardava alle opere, alle funzioni che venivano loro attribuite; il quarto, Il Medioevo al passato e al presente, alle forme della ricezione delle opere medievali, alla loro distruzione, ai revival, al loro studio, in una parola a come certe opere (e non altre) siano giunte sino a noi, a come siano, e siano state, lette, conservate e interpretate.

Se i primi due volumi sono dunque dedicati al momento della produzione e parlano di spazi e di tempi, di committenti e di artisti, di tecniche e di opere, gli altri due, il terzo e il quarto, sono piuttosto attenti ai problemi della fruizione, a quelli dei pubblici succedutisi nel tempo, delle funzioni attribuite alle opere.

Nella concezione e nella realizzazione di quest'opera alcuni punti ci sono sembrati centrali.

Tra questi ricordiamo la funzione primaria esercitata sulla produzione artistica dalla religione, nei suoi differenti aspetti e nelle sue differenti forme, ma altresì i progetti dei poteri ecclesiastici e laici indagati nell'intera gamma delle possibili tipologie, nelle loro concrete esigenze di spazi attrezzati e decorati, nelle funzioni cultuali e propagandistiche attribuite alle opere figurative e di conseguenza alle strategie di dominazione simbolica svolta attraverso le immagini, in un tempo in cui altissima era la sproporzione tra i pochi letterati e la gran massa degli illetterati.

Così l'analisi dei comportamenti, differenti nel medesimo tempo, rispetto all'intensità e al volume della produzione artistica, che si manifestano in varie aree geografiche, culture, società. E ancora la distinzione tra centri di propulsione e di forte identità specifica e aree di isolamento, tra tempi 'pieni' e tempi 'vuoti', tra centri e periferie, tra ricettività e resistenze.

Altro punto importante è quello del mondo degli artefici che oggi, con un termine che non appartiene al loro tempo, chiamiamo artisti: le loro condizioni, le loro organizzazioni, la loro cultura, il modo in cui vedevano se stessi ed erano visti, il loro rapporto sempre variabile nel gioco di azione-reazione, di proposte e risposte, con i committenti, le tecniche praticate e le loro gerarchie, dovute al tipo di oggetti prodotti, all'uso di particolari materiali e ai conseguenti costi economici, alla capacità propria a una determinata tecnica di proporsi in un certo tempo come guida e modello alle altre, alle conoscenze e particolari abilità del produttore la cui versatilità, che lo rendeva simile al mitico modello biblico di Bezeleel - l'autore dell'Arca dell'Alleanza che sapeva lavorare in oro, argento, bronzo, scolpire la pietra e il legno -, era sommamente apprezzata.

E per finire si è posta attenzione alla forte variazione nel tempo delle funzioni degli oggetti e dei monumenti e alle conseguenze che ciò ha comportato per la loro fruizione, per il modo di vederli. Un vedere e una fruizione che, lungi dall'esser neutri, cambiano nel tempo senza mutamento dell'oggetto o che intervengono sull'oggetto con modifiche, riusi, trasformazioni, restauri, distruzioni che hanno avuto un ruolo importante e diretto non solo sui modi in cui i problemi sono stati trattati dalla storiografia, ma in ultima analisi sulla salvezza o la perdita di un monumento e con esso di un frammento del passato.

In generale, caratteristica programmatica dell'opera - particolarmente visibile proprio nel primo volume - è l'analisi dell'interazione fra artista e contesto. Nella prevalenza dell'Europa di tradizione franca (una prevalenza di prospettive, non rigida nello stabilire confini esterni e certamente non chiusa alle comparazioni) sono ben presenti contesti regionali che costringono a ricordare come il convenzionale "Medioevo" corrisponda a un intero millennio. Quindi, pur senza uscire dai suoi limiti cronologici, si trovano le lunghe, anzi le lunghissime durate del paesaggio di vari ambiti locali. Ma si trovano anche diverse, decisive e condizionanti fasi dei loro caratteri politico-sociali: ancora connotati da diverse prevalenze etniche nei primi secoli, ma segnati poi da scansioni che vanno dalle convergenze carolinge al frazionamento signorile, dalle piccole corti dei principati territoriali a quelle, più ambiziose, degli stati nazionali e regionali.

Nei contesti regionali i quadri condizionanti - non solo i committenti - sono poi classificabili per tipologie, e di ciò risentono l'indice del primo volume e, in parte, di quelli successivi: città e signorie rurali, comuni ed enti religiosi, articolano un'immagine di Medioevo che deve perdere compattezza per essere ricondotta alla dimensione concreta degli anni intorno al Mille.

Anche se può apparire contraddittorio c'è poi un altro contesto, quello della mobilità. Caratteristica spesso ignorata del Medioevo, la mobilità degli uomini determina un contesto europeo orizzontale (di potenti ma soprattutto di intellettuali) che incrocia quelli verticali del localismo. Non risultano mobili soltanto gli artisti, ma anche aristocratici che innescano contatti stabili fra regioni lontane, chierici e monaci che tengono in collegamento scuole, cattedrali e biblioteche monastiche.

Le molte e separate chiese altomedievali fanno luogo, a partire dall'XI secolo, alla "Chiesa" singolare, centralistica e romana. Sopra la pluralità dei poteri signorili una serie di regni territoriali - dal funzionamento intermittente - contempla l'esistenza di un potere talora solo formale, l'impero, che si manifesta con qualche efficacia in età carolingia fra i secoli VIII e IX, in età ottoniana fra i secoli X e XI e poi, a partire dal XII secolo, con l'intraprendenza di Federico I e della dinastia sveva. In queste pagine la vocazione universalistica di papi e imperatori perde astrattezza, perché diventa storia di corti itineranti, di sedi provvisorie e di influenti soggiorni, di circolazione di modelli attivata proprio dalla prospettiva universale che caratterizza quei protagonisti. 

La rete stradale medievale si presta alla circolazione di questi e altri poteri, alla mobilità degli uomini e degli artisti. Le grandi arterie viarie, non nettamente disegnate e poco stabili nel tempo, corrispondono a larghe "aree di strada" che favoriscono la ricaduta anche marginale di transiti culturalmente significativi. Il fitto sistema di capillari stradali completa l'opera, favorendo l'incontro fra persistenze locali e accelerazioni sovraregionali.

Tempo e spazio sono i protagonisti, unitamente alle istituzioni, di questo primo volume, il quale si apre con un'apologia dei caratteri innovatori e originali dell'arte medievale che, contro il frequente e incalzante ricorrere di rinnovamenti, rinascite e rinascenze, dialetticamente si profilano a segnare un tempo nuovo. Tempo e spazio: ma bisognerebbe volgere tutto al plurale, in quanto non di tempo si tratta, ma di tempi, che possono essere diversissimi: tempi dell'Oriente bizantino e dell'Occidente, e non solo quelli celebri della chiesa e del mercante, ma quelli, per lo più irregolari, ora accelerati ora lenti, dei cantieri delle cattedrali contro quelli spesso rapidissimi dei cantieri della corona, quelli dell'orafo e quelli dello scultore, fino a quelli degli storici dell'arte che al tempo tentano di imporre la misura - e la gabbia costrittiva - dello stile. Accanto ai tempi gli spazi, gli itinerari, i paesaggi, quelli delle città e delle campagne e delle loro rappresentazioni, ma anche quelli dell'altra parte, le geografie ultraterrene e infine le grandi istituzioni religiose e laiche, la Chiesa, il papato, l'impero e, all'interno di esse, gli artisti che si muovono, i modelli che circolano di città in città, di corte in corte, di monastero in monastero.

 Ai vertici della società medievale si collocano, condizionandone anche l'attività artistica, i ceti dominanti e i loro stili di vita. La nobiltà che esprime i poteri signorili ed ecclesiastici ha un'immagine forte che si sviluppa e muta con gradualità. La borghesia, che in molte città (non in tutte) è egemone e che negli enti religiosi talora subentra, contempera l'imitazione degli stili di vita aristocratici con sporadiche espressioni d'orgoglio della propria peculiarità. In entrambi i casi c'è l'immagine assestata, ben percepibile dall'esterno, ma c'è anche l'immagine che di sé si vuol dare: e spesso quest'ultima è quella che maggiormente influenza, nella dialettica con l'autonomia dell'artefice, il prodotto figurativo.

L'idea di riunire in un'opera comune dedicata al Medioevo storici dell'arte e storici era stata di Paolo Fossati, che purtroppo non ha potuto vederne la realizzazione. Al suo ricordo vorremmo dedicare quest'impresa.

Enrico Castelnuovo e Giuseppe Sergi

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