Giuseppe Ligato, Sibilla regina crociata. Guerra, amore e diplomazia
per il trono di Gerusalemme, Bruno Mondadori, Milano, 2005,
rec. di Elena Necchi
Il saggio di Giuseppe Ligato, studioso di storia delle crociate, del
regno latino di Gerusalemme e degli ordini cavallereschi, segue il recentissimo
La croce in catene. Prigionieri e ostaggi cristiani nella guerra di
Saladino (1169-1193), Centro italiano di studi sull’alto medioevo,
Spoleto, 2005. Protagonista delle vicende storiche esaminate è
Sibilla, regina di Gerusalemme dal 1186 al 1190, la quale, in una società
dominata dallo strapotere maschile, dà prova di grande coraggio
nell’assunzione di responsabilità allora riservate al sesso
maschile. L’accostamento a questo singolare personaggio consente
parte di sfatare il topos del "Medioevo maschio", per citare
un celebre saggio di Georges Duby .
L’esame di prima mano di una notevole quantità di fonti
permette di sfatare i pregiudizi sorti intorno alla figura della nostra
eroina: se negli elogi coevi viene genericamente definita come "degna
donna", "buona regina" o "valorosa donna",
in generale la si è ritenuta responsabile della rovina abbattutasi
sul regno crociato nel 1187; anche gli studiosi moderni non le hanno
risparmiato strali. René Grousset l’ha definita come una
tête folle , mentre la storica Régine Pernoud le ha rimproverato
un carattere estremamente volubile . Sibilla può essere invece
additata come un eccezionale esempio della volontà di superare
determinati stereotipi sociali, tanto più stretti quanto più
alto era il rango di appartenenza, nello sforzo non comune di unire
desiderio di potere e sincero amore coniugale , in un contesto politico
e sociale estremamente variegato e incandescente , caratterizzato dalla
quasi totale assenza di iniziativa da parte degli uomini che avrebbero
dovuto lottare per la difesa del regno e della cristianità latina
allora sottoposti alla minaccia da parte delle truppe islamiche del
sultano Saladino. Le sue scelte sentimentali ne riabilitano la figura,
facendocela apparire come una donna capace di sostenere fino all’ultimo
una fiera lotta in difesa dei propri diritti e del proprio amore.
L’esistenza di Sibilla, sulla cui infanzia le notizie sono scarsissime,
appare come una preparazione alla lotta che dovrà sostenere per
assicurarsi i propri diritti di regina e moglie. La futura e ultima
regina di Gerusalemme nasce nel 1157 da Almarico I e dalla cugina di
terzo o quarto grado Agnese di Courtenay. Ed è proprio questa
nascita da un’unione contestata a creare le premesse per gli ostacoli
che le si opporranno. La sua storia coniugale è alquanto tormentata.
All’età di dodici anni circa (1169) viene promessa in sposa
al francese Stefano di Sancerre, il quale, giunto in Terra Santa nel
1171, rinuncia alle nozze per motivi non del tutto precisati, ma probabilmente
riconducibili con i gravosi oneri impliciti in quel patto matrimoniale.
Così, con la morte del padre Amalrico nel 1174, la questione
della reggenza e della corona diventano di particolare urgenza, e la
malattia del fratello minore Baldovino IV risolleva ben presto il problema
della successione al trono. Nel 1177 l’urgente dilemma della successione
femminile sembra trovare una soluzione con le nozze fra Sibilla e Guglielmo
Lungaspada di Monferrato, la cui famiglia si trova in Terra Santa dal
1148. Le nozze fruttano allo sposo la contea di Giaffa e Ascalona e
il regimen solo come reggente a copertura del periodo fra l’ormai
scontato declino del cognato Baldovino e il compimento della maggiore
età dell’erede legittimo, ma la morte improvvisa e oscura
lo coglie ad Ascalona a meno di un anno dalle nozze e senza neanche
poter vedere il figlioletto Baldovino V.
Nella primavera del 1180, fallite diverse trattative matrimoniali, Sibilla
convola a nozze con Guido da Lusingano. Fatto abbastanza inusuale per
la società medievale, nel legame fra i due coniugi si riveleranno
fondamentali la scelta e l’attrazione reciproca, e tale elemento
segnerà pesantemente la futura carriera di Sibilla.
La coppia inizia da subito la corsa per la corona in mezzo alle ostilità
dei baroni del regno latino d’Oriente, tutti interessati alla
spartizione del potere e che, pur di ostacolare l’ascesa di Sibilla
e del Lusingano, arriveranno ad architettare le più bieche manovre.
Nel 1183 re Baldovino nomina il Lusingano procurator, assegnandoli la
piena amministrazione sul resto del regno e riservando per se stesso
la dignitas con l’obbligo per il cognato a giurare nuovamente
la rinuncia alla corona fino alla morte del re e nel rispetto della
reggenza di Baldovino V. Ma i contrasti fra i due cognati non tardano
a scoppiare, per una questione di interessi economici. La situazione
precipita nel novembre del 1183, quando vengono celebrate le nozze fra
Isabella, figlia di Amalrico e della seconda moglie Anna Comnena, e
Unfredo IV di Toron, coppia antitetica a Sibilla e Guido. Il 20 novembre,
nella basilica del Santo Sepolcro, il piccolo Baldovino V riceve la
corona, pertanto le aspirazioni di Sibilla, la quale si è dissociata
dalle macchinazioni contro il marito, subiscono una pesante battuta
d’arresto. La reggenza viene affidata al conte Raimondo III di
Tripoli, e il piccolo Baldovino è rimesso alla tutela di Jocelin
di Edessa.
Con la scomparsa di Baldovino IV nel marzo 1185 si apre un periodo convulso
per la successione. Sibilla sfrutta a proprio favore le lungaggini relative
all’arbitrato internazionale, infatti la commissione dei quattro
monarchi europei (Federico Barbarossa, il pontefice e i due sovrani
di Francia e Inghilterra) istituita dal fratello per dirimere la causa
della successione non ha funzionato e perciò i suoi diritti rimangono
intaccati. La prematura morte del piccolo Baldovino ad Acri nel settembre
1186 fa precipitare la situazione e apre una delicatissima fase di passaggio.
La contessa di Giaffa riesce a impossessarsi della corona. Il colpo
di stato viene preparato al momento della sepoltura di Baldovinetto
nella basilica del Santo Sepolcro, e Sibilla, pur con la complicità
del patriarca, dei templari e di un congruo numero di baroni, entra
in campo come regista della propria incoronazione: pur agendo in maniera
poco ortodossa dal punto di vista formale e cerimoniale, riesce tuttavia
giocare all’interno delle istituzioni; sostenendo i propri diritti
in maniera anomala, estromette tutti gli altri candidati a vantaggio
del marito. Il Lusignano ne trae un enorme prestigio, tuttavia, nonostante
la rapidità del golpe, diviene presto evidente che il Lusingano
altro non è che un fantoccio nelle mani di chi lo ha messo sul
trono, e la corona inizierà ben presto a vacillare.
Nel maggio 1187 avviene la rottura della tregua con Saladino. Guido
da Lusingano mobilita tutta la cristianità d’Oriente e
punta subito su Tiberiade, cinta d’assedio dalle milizie sultaniali.
La folle decisione innesca una serie di avvenimenti che sfoceranno con
il disastro di Hattin il 4 luglio 1187. Subito dopo la battaglia i musulmani
si impadroniscono della corona e della reliquia della Vera Croce. Guido,
catturato insieme con alcuni baroni, raggiunge la prigione di Damasco
previo un disonorevole iter attraverso varie città come esempio
ammonitore per le popolazioni cristiane affinché si sottomettano
ai nuovi venuti.
Il sogno di gloria del Lusingano è ormai destinato a svanire.
Nel frattempo, la notizia della disfatta di Hattin sta mobilitando l’Europa
cristiana verso una nuova crociata, ma a motivo delle rivalità
fra la Francia e l’Inghilterra, la spedizione non partirà
prima del 1190, così i crociati d’Oltremare si devono difendere
da soli. Intanto Saladino, in previsione di una nuova mobilitazione
in Occidente, si appresta a guadagnare terreno.
Guido rimane in prigione fino alla primavera del 1188, e il suo ricongiungimento
con la moglie, uscita da Gerusalemme probabilmente nell’autunno
del 1187, viene sicuramente mediato da un incontro fra Saladino e Sibilla.
In poche settimane il Lusingano organizza una crociata e si dirige con
la moglie e un debole manipolo di armati verso Tiro. La città
è governata da Corrado di Monferrato, il fratello del primo marito
di Sibilla. Davanti alle sue prepotenze il Lusingano preferisce ritirarsi,
mentre Sibilla cerca di tenergli testa, in quanto avverte la responsabilità
che grava sulle proprie spalle. Fallito l’ultimo tentativo di
farvi ingresso nell’aprile del 1189, la coppia reale punta su
Acri, dove si svolgerà uno scontro memorabile con la partecipazione
tutta la cristianità in un sovrumano dispiegamento di forze.
Durante l’assedio il ruolo di Sibilla accanto al marito va gradualmente
scemando, in quanto ora il possesso della corona si gioca su una rivalità
militare. Fra l’estate e l’autunno del 1190 la regina e
le sue figlie Alice e Maria trovano la morte per avvelenamento, l’arma
batteriologica usata da Saladino. Rimane ignota la sepoltura dei tre
corpi, probabilmente inumati nell’accampamento e traslati nella
città di Acri dopo la capitolazione un anno dopo. Qualche tempo
dopo Guido da Lusingano, apparentemente dimentico dei propri debiti
alla memoria della moglie, alla quale deve tutto, convola a nuove nozze
con una nobildonna bizantina: insieme daranno vita al nuovo regno di
Cipro.
Elena Necchi