Claudio Azzara, Le invasioni barbariche, Il Mulino, Bologna, 1999, pp. 184 Un tema piuttosto sentito dalla storiografia soprattutto degli ultimi due secoli è stato quello che ha visto protagoniste le popolazioni cosiddette "barbariche" e i loro rapporti con l'Impero romano. Dalle strumentalizzazioni spesso a fondo nazionalistico e razzista che hanno portato allo stravolgimento di tali rapporti e all'esaltazione incondizionata di una supposta "mitica" unità germanica primordiale, pura, primigenia ed incontaminata, fino alle più recenti acquisizioni antropologiche, storiche ed archeologiche, l'interesse per la congerie di popoli non romanizzati che premevano ai confini dell'Impero non accenna a diminuire grazie anche ad un continuo aggiornamento dei dati a disposizione. In questo contesto si colloca anche questo agile libretto di Claudio Azzara, docente di Esegesi delle fonti storiche medievali all'Università di Venezia e specialista negli studi sull'Alto Medioevo.Questo saggio, sintesi efficace utilizzata anche come testo universitario, ripercorre le tappe che hanno segnato la fine dell'età antica e l'inizio di un'era nuova oltre che la nascita della moderna Europa. Dal sentimento iniziale di disprezzo e sospetto che le popolazioni non romanizzate (e quindi, secondo il significato originale del termine, "barbare" in quanto non latine) suscitavano nell'Impero, il testo dell'Azzara mostra come la loro graduale accettazione sia avvenuta anche grazie alla progressiva conversione al cristianesimo che ne favorì l'assimilazione nella cultura dominante. Fondamentale emerge il concetto di pluralismo che caratterizzava queste genti. Si tratta in effetti di una conquista dovuta agli studi più recenti, che hanno escluso il luogo comune dell'omogeneità e dell'uniformità delle stirpi non latine dovuto in parte alla stessa cultura romana che per ignoranza (come ammetteva lo stesso storico latino Tacito) tendeva ad omologare popoli diversi sotto lo stesso epiteto di "germani" quando non quello - come si è detto - sprezzante di "barbari". Come ricorda infatti lo stesso Azzara, <un individuo appartiene relamente ad un'etnia quando acquisisce piena coscienza di essere membro di essa>, senza per questo, cioè, prescindere completamente da influenze e contatti esterni. Dopo un capitolo introduttivo nel quale si traccia un sintetico ma efficace profilo della situazione complessiva del tardo Impero, il saggio dell'Azzara passa in rassegna le varie popolazioni "barbariche" presenti ai confini, suddividendole in stirpi germaniche e nomadi delle steppe e descrivendone brevemente gli stanziamenti, gli spostamenti, la cultura e i rapporti con la compagine romana. Nella più puntuale disamina delle migrazioni che questi popoli affrontarono nel corso del V secolo, emergono le tappe del loro progressivo avvicinamento a Roma e il loro passaggio dal rango di federati a quello di veri e propri invasori. Nel 476 l'Impero capitolò e al suo posto sorsero una moltitudine di regni diversi, noti come "romano-barbarici" a sottolinearne il carattere composito sul piano etnico e politico. Un capitolo a parte viene dedicato, a causa della sua longevità e della sua importanza sia politica sia culturale e a motivo dei forti retaggi che lasciò anche molto tempo dopo la sua fine, all'esperienza longobarda in Italia. Azzara, specialista di studi longobardi (ricordiamo en passant il fondamentale testo, scritto con Stefano Gasparri, "Le leggi dei Longobardi") sintetizza la storia del "Regnum Langobardorum" fino alla sua caduta, avvenuta nel 774 ad opera dei Franchi di Carlo Magno, sottolineando come quest'esperienza, durata duecento anni si configuri come <una sorta di "esperimento interrotto" nel processo di costruzione di una realtà storico-territoriale originale, generata dall'incontro di una maggioranza romanica con una minoranza germanica (e tra le meno romanizzate), sul suolo del paese che fu la culla dell'antico impero>. A chiusura di capitolo, si ripercorrono le tappe di evangelizzazione delle popolazioni barbariche, dagli anglosassoni ai visigoti, mettendo in evidenza anche il ruolo che in ciò svolsero i missionari nella conversione e nella diffusione del messaggio cristiano soprattutto a partire dall'Irlanda.Chiude il libro un ampio capitolo sulle popolazioni slave (soprattutto bulgare) che ebbero modo di mettere ripetutamente e seriamente (come nell'811, anno della sconfitta e morte in battaglia dell'imperatore Niceforo) a repentaglio l'integrità di Bisanzio finché furono convertiti al cristianesimo in forma ortodossa e concentrarono da allora i loro sforzi nel costruire un forte regno unitario. Le ultime propaggini delle invasioni avvennero sotto la spinta dell'espansione islamica - che nel breve volgere di un secolo travolse i resti dell'Impero in Africa e in Spagna arrivando più volte a minacciare il cuore dello stesso continente -, delle razzie ungare (a causa delle quali ebbe origine il ben noto fenomeno dell'incastellamento) e delle migrazioni normanne (che diedero vita nel Mezzogiorno d'Italia, sul Baltico e nel nord della Francia a veri e propri principati e regni dalla fioritura secolare). Queste ultime minacce furono vissute dall'Occidente - ormai, dopo l'avvenuta integrazione e cristianizzazione dei primi invasori, culturalmente piuttosto omogeneo - come pericoli apportati da nuovi e feroci "barbari", totalmente diversi e percepiti come tali dal resto delle genti ormai a buon diritto europee. Se slavi, normanni e ungari finirono alla lunga per stabilizzarsi ed assimilarsi al resto del continente, i saraceni, antagonisti non solo per etnia, lingua e cultura ma anche per religione, sarebbero stati di lì a poco i nemici secolari di una nuova e vitale lotta che avrebbe visto protagonista e coalizzata tutta l'Europa cristiana. Elena Percivaldi |