Stefano Gasparri, Prima delle nazioni. Popoli, etnie e regni fra antichità e medioevo, Roma, Carocci, I ed. La Nuova Italia Scientifica, 1996. Nella prima parte del libro l'attenzione è centrata su alcuni fenomeni, interni all'impero romano, di opposizione da parte delle popolazioni delle campagne. Punto di partenza delle analisi dell'autore sono alcune fondamentali pagine di Mazzarino. Alcune sollevazioni di contadini o di intere popolazioni, come i berberi in Africa e i Bacaudae celtici in Gallia, sono interpretabili come rivolte di gruppi etnicamente omogenei, rimasti ai margini dell'ordine romano. Nell'interpretazione di Gasparri però, oltre al fondo etnico compatto, un altro elemento necessario alla formazione di questi movimenti di rivolta era l'atteggiamento eretico della chiesa locale, i cui vescovi assumevano i contorni di capipopolo, rappresentanti delle istanze provenienti dal basso di fronte alle gerarchie dell'amministrazione romana. Altro elemento comune a questi fenomeni era il basso grado di urbanizzazione dei territori interessati. Dove non si erano verificati fenomeni del genere la dinamica etnogenetica, innescata dalle invasioni barbariche, fu differente. Teatro principe dell'analisi diviene ora la Gallia, dove l'élite dei conquistatori franchi si fuse con la classe senatoria gallo-romana, continuando così il sistema di potere preesistente, a tutto danno delle classi subalterne. Elemento essenziale che rese possibile quest'integrazione fu la conversione di Clodoveo e dell'aristocrazia franca, vista come espediente politico di grande efficacia, che fece cadere le resistenze antiariane della classe senatoria. Ciò mostra come l'atteggiamento legittimistico fosse subordinato alla tutela dei propri interessi e come l'elemento forte di identificazione dell'aristocrazia provinciale con l'impero fosse divenuto ormai il suo carattere cristiano e cattolico. Tanto che, nel momento in cui un re barbaro, ma convertito al cattolicesimo, poteva più efficacemente proteggere i suoi interessi, la classe senatoria depose ogni istanza legittimistica filoimperiale. Diverso, ma complementare, fu il caso dell'Italia, dove l'alleanza dei Goti con la classe senatoria ebbe durata relativamente breve proprio per il persistere dell'arianesimo dei Goti. Alcuni episodi del conflitto che oppose i Goti ai Bizantini mostrano per altro come in Italia, all'epoca, proprio la mancanza di un fondo etnico comune e di istanze religiose alternative non favorisse lo sviluppo di forme di protesta organizzata da parte delle plebi rurali, che si disperdevano fra le varie fazioni in lotta. Di qui parte un'anomalia che segna il destino dell'Italia nei secoli a venire e che si manifesta in vari modi. Da questo momento in poi l'attenzione si concentra sull'Italia e sulle conseguenze della conquista longobarda. Gasparri accetta la tesi prevalente dell'invasione longobarda come frattura nella storia politica d'Italia, a causa delle traumatiche conseguenze che l'invasione ebbe sulla classe senatoria, che fu spazzata via. I "Romani" furono assoggettati dai Longobardi, ma la tradizione romana continuò ad essere viva, in Italia, attraverso la chiesa. Generalmente, oltre agli abitanti dei territori a lungo rimasti sotto il dominio bizantino, anche gli ecclesiastici professavano la legge romana e spesso anche i loro familiari. Così, nella professione di legge, che costituiva di fatto il momento più indicativo dell'espressione di una coscienza etnica, la tradizione longobarda doveva subire la concorrenza di un'altra tradizione, non etnica, ma culturale e istituzionale. Ad accentuare l'anomalia italiana c'era poi la frammentazione politica, con aree a controllo bizantino accanto al dominio longobardo. La professione di legge è uno dei temi fondamentali anche riguardo all'età carolingia. Essenzialmente si contesta l'opinione diffusa in passato dell'esistenza di una personalità della legge in età carolingia e si propone invece l'ipotesi di una validità territoriale delle leggi nazionali nei singoli regni che componevano l'impero. Nel frattempo, nell'impero franco sovranazionale coesistevano tradizioni diverse e si enucleavano anche alcune nazionalità regionali che avrebbero avuto esiti duraturi, come Catalogna, Aquitania, Bretagna, Paese Basco, ciascuna con modalità differenti di opposizione e integrazione rispetto al potere centrale. In Italia, ancora una volta, la situazione fu molto particolare. Con la conquista franca, infatti, la tradizione longobarda non sparì, continuando ad essere rappresentata nel centro e nel nord dai gruppi di arimanni, legati all'esercizio di particolari funzioni pubbliche, mentre nel sud essa si espresse nella nascita di formazioni statali indipendenti dal quadro politico carolingio, i principati di Benevento, Capua e Salerno. A complicare ulteriormente la situazione la presenza della chiesa, molto più forte che altrove, nelle forme di cui si è già detto, e il dominio bizantino, che riottenne e mantenne a lungo il controllo di aree estese dell'Italia meridionale. Vito Lorè |