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La Valle Staffora nel Medioevo e nella prima età moderna. Atti del Convegno di Studi ( Varzi, 20-21 maggio 2005), a cura di Ettore Cau – Aldo Angelo Settia, Associazione Varzi Viva, Edizioni Guardamagna, Varzi, 2007, pp. VI+461, recensione di Elena Necchi


Il 3 marzo 2007, presso il “Centro residenziale Cappuccini” di Varzi, sono stati presentati gli atti del convegno La Valle Staffora nel Medioevo e nella prima età moderna (Varzi, 20 – 21 maggio 2005). Il volume, di notevole pregio scientifico, rappresenta il risultato della collaborazione fra più enti e istituzioni, che sono riuscite ad affiancare relatori dalle più diverse competenze, nel tentativo di gettare luce sul ruolo esercitato dalla Valle Staffora nei secoli cruciali fra Medioevo ed età moderna. Le sessanta tavole presenti offrono uno scorcio su una terra ricca di tracce e molto vitale.
Rinaldo Comba, docente di Storia medievale presso l’Università Statale di Milano, ha esaminato la prima parte del volume, dedicata alla presenza della signoria malaspiniana. Vi si affrontano i temi del ruolo della città, della strada, dei pedaggi, dei rapporti con Milano e Pavia in una zona difficile da controllare da parte dei Visconti e degli Sforza, con i quali i Malaspina sono in contatto.
Romeo Pavoni (I Malaspina signori dell’Appennino) sviluppa il tema della presenza malaspiniana nel contesto locale in una dimensione di più vasta scala come strateghi delle terre poste a cavallo dell’Appennino, che obbligò i Comuni a riconoscerne la presenza a vantaggio di entrambe le parti.
Luciano Maffi (La bassa Valle Staffora nei documenti dell’Archivio Malaspina di Godiasco) ha messo in luce l’importanza dell’Archivio Malaspina di Godiasco per una più approfondita comprensione della consistenza territoriale della famiglia dei Malaspina, la quale, nel basso Medioevo, domina con i diritti di << honor et districtus>> un vastissimo territorio, che, partendo a nord dall’imboccatura della Valle Staffora, giunge fino alla Lunigiana.
Le altre relazioni presentano una lettura diversa della signoria del Malaspina. Giuditta Cerutti (Il castello di Oramala:storia e architettura) ripercorre le fasi architettonico – costruttive del castello di Oramala sulla base di diciannove documenti conservati presso l’Archivio Malaspina di Godiasco.
Fiorenzo Debattisti (Vie e commercio in Valle Staffora) sottolinea il ruolo strategico svolto in epoca medievale dalla Valle soprattutto per i Pavesi, che, nonostante l’esosità dei dazi, trovano in Varzi un comodo luogo di incontro fra le vie di comunicazione fra Pavia e Piacenza.
Giorgio Fiori (I Malaspina di Valle Staffora) ripercorre le vicissitudini del casato dalle sue origini fino al suo pressoché totale esaurimento.
Italo Cammarata (Bernabò Malaspina, guerrigliero antisforzesco o terrorista filofrancese?) si sforza di leggere in chiave moderna alcuni documenti conservati presso gli Archivi di Stato di Milano e di Torino, i quali si rivelano utili ai fini della ricostruzione della leggenda di sapore gotico – barocco elaborata intorno alla figura di Bernabò Malaspina.
Ettore Dezza (La legislazione statuaria varzese. Note introduttive) esamina la tradizione manoscritta degli Statuti di Varzi, dei quali manca un’edizione filologicamente corretta.
Daniela Rando, che insegna Storia medievale all’Università di Pavia, ha presentato la seconda parte degli atti, relativa alle forme di religiosità e arte nella Valle Staffora.
Nella sezione Presenza monastica Giovanna Forzatti (Il monastero di Sant’Alberto di Butrio. Una fondazione obertenga in diocesi di Tortona) affronta la questione della fondazione del monastero di Sant’ Alberto di Butrio tra storia e leggenda; esamina i rapporti con la famiglia dei Malaspina e avanza l’ipotesi, abbastanza problematica, di un intervento diretto del casato.
Renata Crotti (Il monastero di Sant’Alberto di Butrio. I possessi fondiari) presenta una discussione discorsiva e panoramica, dalle conclusioni ancora aperte, sui possessi fondiari del monastero.
La parte Chiese e territorio comprende cinque relazioni. Federica Scarrione (Questioni di architettura religiosa medievale in Valle Staffora) mette a confronto le eterogenee strutture architettoniche locali con una serie di esempi monferrini coevi, prendendo in esame anche le sculture.
Aldo Angelo Settia (Riflessi carolingi in Valle Staffora: San Ponzo e Cecima) istituisce relazioni agiografiche, toponomastiche e prosopografiche fra dati apparentemente slegati. Nei toponimi di Nizza e Rio Semola si rintraccia un sostrato ligure, che, in epoca carolingia, a persone originarie della Provenza potevano risvegliare il ricordo della patria d’origine, con una conseguente reviviscenza in Valle Staffora di culti d’Oltralpe, come nel caso di San Ponzo, venerato anche a Nizza (Cimiez).
Paola Perduca (La Pieve di San Ponzo Semola nelle visite pastorali dell’Archivio Diocesano di Tortona), sulla base dei resoconti delle visite pastorali fra Medioevo ed età moderna, esamina i rapporti fra la Pieve di San Ponzo e la diocesi tortonese di appartenenza.
Anna Segagni (Nota sull’architettura romanica pavese: la chiesa di San Ponzo Semola), confrontando la pieve di San Ponzo con costruzioni religiose simili, propone di datarla al XII secolo.
Chiude il volume la relazione di Marco Sannazaro (L’iscrizione altomedievalo di Bosmenso), un’accurata descrizione dell’epigrafe di Bosmenso, che commemora la vergine Rothilda, da identificarsi con la figlia o con la nipote di re Ugo.





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